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mercoledì 11 luglio 2012
L'Egitto in piena crisi istituzionale
La vittoria dell'islamico Morsi in Egitto, ha rovinato i piani dei militari e sopratutto, sta innescando una crisi istituzionale, che potrà avere anche soluzioni tali da rimettere in discussione il processo democratico del paese. Uno dei primi atti del nuovo presidente è stato quello di reintegrare il parlamento nelle sue funzioni, confutando così il provvedimento della Corte Costituzionale che ne aveva decretato l'illegittimità. Questa decisione ha però riaperto le profonde divergenze con le forze armate, vere mandanti della sospensione dell'organo legislativo egiziano, ed ha provocato un conflitto con la stessa Corte Costituzionale, che, al momento, pare insanabile, con il risultato di avere creato una situazione in cui la vita istituzionale risulta bloccata. La risposta della Corte Costituzionale, infatti, è stata quella di sospendere il decreto presidenziale ristabilendo la situazione ante risultato elettorale, con il parlamento di nuovo dichiarato illegale. Va ricordato che, tecnicamente, alla base della decisione della Corte vi è un difetto nella legge elettorale. Proprio per questa ragione Morsi ha il solo appoggio dei partiti islamici, Fratelli Musulmani e Salafiti, mentre per le formazioni laiche il decreto che rimetteva al proprio posto il parlamento è stato addirittura definito golpe istituzionale. Questo significa che la frattura nel paese non è solo istituzionale ma anche sociale, d'altro canto i partiti laici avevano preferito schierarsi a favore del candidato sconfitto, espressione dei militari ed in un certo senso anche del passato regime, piuttosto che vedere un esponente degli islamici nella carica di presidente. Quello che è uscito dalla primavera araba è un Egitto profondamente diviso, in bilico tra attaccamento alla religione, che negli anni bui del regime ha rappresentato un sicuro rifugio, e voglia di modernizzazione sociale e politica, che male sopporta il bavaglio religioso al posto di quello della dittatura. Sono due mondi in aperto contrasto e probabilmente inconciliabili, che hanno trovato nel terreno istituzionale la loro arena di scontro. Ma questa volta l'esercito non è imparziale ed è intenzionato a fare pesare la propria importanza sia come soggetto politico, che stabilizzatore del paese. La sentenza della Corte costituzionale, composta da uomini nominati da Mubarak e quindi ritenuta moralmente illegittima dai partiti musulmani, affida il ruolo del parlamento alle Forze Armate, che ricoprono quindi un doppio ruolo, alquanto inedito in un regime democratico, ma quello che si sta sviluppando in Egitto è una forma di stato ancora incompiuta, dove si può presentare il paradosso di un esercito maggiore garante delle libertà individuali rispetto ad una assemblea eletta. Del resto il timore di gran parte della società egiziana, ma non certo della maggioranza che si è recata alle urne, è l'applicazione della sharia come legge vigente nel paese, mentre sulpiano internazionale si teme una deriva dell'Egitto verso paesi fondamentalisti come l'Arabia Saudita, che, tra l'altro sarà il primo viaggio all'estero di Morsi. Inoltre per i militari è ritenuto fondamentale non alterare i rapporti diplomatici con Israele e Stati Uniti, attraverso i quali giungono gli aiuti in materiale e tecnologia. Quelli che si aprono sono scenari segnati dalla grande imprevedibilità: se il potere maggiore è in mano ai militari, non è interesse di questi passare come coloro che, tramite un colpo di stato per ora non violento, hanno invalidato la competizione elettorale di uno dei paesi arabi più importanti, ma, tuttavia, godono anche dell'appoggio, certamente insperato, dei partiti laici usciti sconfitti dalle elezioni, che tutto volevano, durante le dimostrazioni contro Mubarak, tranne passare dalla dittatura alla legge islamica. I vincitori delle elezioni, dal canto loro, hanno la forza per mobilitare masse numerose, ma minori rispetto a quando nelle piazze scendevano anche quelli che ora sono i loro avversari politici, hanno però il risultato a loro favorevole da presentare sul piano internazionale, anche se tutto il panorama diplomatico, conscio dell'equilibrio precario della situazione, invita i due contendenti ad un dialogo serrato per superare la crisi.
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