L'incontro avvenuto durante la conferenza degli ambasciatori, è stata per il Presidente francese, François Hollande, l'occasione di fare il punto della situazione sulla politica estera francese. Accusato da più parti, ma sopratutto da destra, di praticare una politica estera caratterizzata da un atteggiamento poco deciso ed immobile, che risulterebbe deleterio per il ruolo francese sulla scena internazionale sempre più dominato dai paesi emergenti, Hollande ha opposto la propria tattica, che pur parendo attendista è ,invece, imperniata sul dialogo e sull'azione politica come preminente sull'azione militare, che aveva contraddistinto l'ultimo periodo del mandato del predecessore Sarkozy, come soluzione vincente. Questo non vuole dire scartare a priori un potenziale intervento armato in un contesto di necessità, per Hollande l'eventualità è praticabile soltanto se inquadrata in una iniziativa sotto l'egida dell'ONU. In realtà la Francia, al pari dei propri alleati occidentali, sta già operando dietro le linee del conflitto siriano con azioni di intelligence e sostegno, ufficialmente non armato, alle forze contrarie ad Assad, ma si tratta di operazioni limitate che niente hanno a che vedere con quanto accaduto in Libia. La convinzione francese sulla Siria è che il rapporto della nazione con Assad sia ormai irrecuperabile e l'unica soluzione sia un governo di transizione che traghetti il paese verso elezioni democratiche, ma per arrivare a questa soluzione occorre convincere Cina e Russia che mantengono posizioni di estrema rigidità sulla questione. E' proprio questa situazione dove si potrà vedere l'efficacia e la capacità di convinzione dei diplomatici francesi, su cui tanto punta il presidente Hollande. L'impresa, in effetti è quasi disperata, l'immobilità di Mosca e Pechino appare difficilmente sormontabile, ed in queste condizioni sperare in una decisione dell'ONU, che possa aprire ad un intervento in Siria, è fortemente improbabile. Proprio a causa di questa consapevolezza Hollande potrebbe convincersi, come più volte sollecitato da diversi paesi, primo fra tutti la Germania, di una riforma radicale dell'ONU, che permetta di superare il problema del veto del Consiglio di sicurezza, aspetto fortemente negativo causa del blocco di quasi tutte le decisioni rilevanti, che potrebbero essere prese dalle Nazioni Unite. Una delle sfide internazionali più importanti e senz'altro più vitali per la Francia, individuata del presidente francese, è costituita dal problema europeo. La necessità di preservare la moneta unica va di pari passo con il rafforzamento delle istituzioni europee, che deve essere alimentato con continui vertici tra i governanti della UE, per favorire lo scambio di idee e soluzioni ed aprire a forme istituzionalizzate comuni che sappiano elaborare una politica europea valida per tutti i paesi membri. Hollande ha evidenziato anche, come sia necessario, nel quadro attuale fortemente instabile, arrivare ad un accordo mondiale sulla non proliferazione nucleare, indispensabile per preservare la pace mondiale, pensieri ovvii nel momento storico in corso, dove la possibilità di una guerra tra Iran ed Israele è ormai una minaccia costante. Nella recente campagna elettorale la politica estera è stato uno dei temi più trascurati dal candidato socialista, poi diventato presidente, per avere privilegiato i problemi interni legati all'economia ed alla sicurezza. Questa mancanza è stata fonte di critica, quasi scontata, in un paese dove si respira ancora l'aria della "grandeur" ed anche le prime azioni di politica estera del nuovo presidente, non hanno elevato il paese a quel ruolo di protagonista, che parte dell'opinione pubblica, ma maggiormente schierata con Sarkozy, si attendeva. Certo l'approccio è completamente differente, ma non meno pratico. Il rifiuto di operazioni militari condotte in maniera singola o con un numero ristretto di stati partecipanti, poteva generare sospetti di neocolonialismo, che Hollande rifiuta completamente, la sua concezione di agire nell'ambito del diritto internazionale e sopratutto sotto la tutela dell'ONU, rispecchia una visione della politica estera, maggiormente integrata con altri soggetti, come la tendenza globalizzatrice impone. Del resto pur proclamandosi una grande potenza la Francia non è più tale proprio per i nuovi soggetti che hanno preso il ruolo di protagonista sulla scena internazionale in forza di una maggiore ricchezza economica. L'attuale ruolo francese, seppure ridimensionato, resta di grande importanza anche se inquadrato ad un livello forse inferiore, che si potrebbe definire come potenza medio grande. Questa dimensione comporta certamente una minore autonomia e la necessità di coordinarsi con altre potenze analoghe o inferiori, sempre del campo occidentale, ma impone di seguire con ancora maggiore facilità gli steccati del diritto internazionale e del rispetto di regole comuni. Sarkozy non seguiva questa linea, perchè puntava sul successo internazionale come mezzo per l'affermazione nazionale, anche se doveva pagare un costo molto alto sia dal punto di vista economico, che delle relazioni internazionali. Hollande, sia per formazione personale, che per provenienza politica, ha saputo sfruttare la minore propensione ai successi internazionali da parte dell'opinione pubblica in favore di una maggiore concentrazione sugli aspetti interni e, quindi, la soluzione di limitare l'azione diplomatica con il motivo di seguire il diritto internazionale rappresenta, oltre che un buon motivo, anche una vera e propria strategia per sganciarsi con eleganza da operazioni non gradite e, forse, non condivise.
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