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martedì 21 agosto 2012
Il caso Assange come causa dell'interruzione del diritto internazionale
Dietro la vicenda londinese che vede come principale interprete Julian Assange, vi sono, in realtà, diverse implicazioni che riguardano i rapporti diplomatici e lo stesso diritto internazionale, tali da potere sovvertire consuetudini consolidate. La minaccia del governo del Regno Unito di violare impunemente una ambasciata di uno stato sovrano, che gode, pare superfluo ricordarlo, di extraterritorialità, va contro ogni ragionevole scenario che si possa prefigurare nei rapporti tra due stati, nemici o no. La gravità della minaccia potrebbe essere soltanto superata dalla sua messa in pratica, che darebbe il via a spinose questioni presso l'ONU, ma che potrebbe, sopratutto, inficiare il principio dell'extraterritorialità, su cui si basano gli insediamenti diplomatici in tutto il mondo. Creare un tale precedente potrebbe aprire una serie di provvedimenti analoghi in altre parti del pianeta, mettendo in crisi il complesso sistema su cui poggiano le relazioni internazionali ed aprire così una fase storica dei rapporti diplomatici segnata da profonda incertezza. Pare impossibile che la diplomazia londinese, formata da personale molto esperto, non sia consapevole della responsabilità di dare il via ad una pratica così pericolosa, in un ambiente dove la creazione di un precedente può costituire una legge non scritta, tuttavia più che ai diplomatici professionisti, la responsabilità di tale minaccia sembra da ascrivere ad un governo come quello di Cameron, che continua a distinguersi per la scarsa professionalità, l'inesperienza nella gestione delle situazioni difficili, come più volte dimostrato nei casi di politica interna ed ora per il servilismo, quasi ostentato, verso gli Stati Uniti. Difficile infatti non pensare che dietro la manovra inglese non vi sia la mano di Washington, che, però, si distingue per un basso profilo, continuando ad affermare che la vicenda riguarda soltanto Londra, Quito e Stoccolma. In realtà per gli USA l'atteggiamento inglese pare avere procurato soltanto fastidi, compattando i paesi del centro america in appoggio all'Ecuador anche in nome di un rinnovato anti americanismo. La frase del presidente ecuadoriano Correa che afferma che i paesi centro americani non sono più il cortile di casa degli USA, può rappresentare per Washington implicazioni ben peggiori dei supposti vantaggi della cattura di Assange. L'esercizio del diritto di asilo da parte dell'ambasciata ecuadoriana, pone così problemi che vanno aldilà del singolo caso, che già da solo presenta risvolti interessanti. Non possono che essere ovvie le considerazioni che la volontà di punire chi ha divulgato notizie riservate, in nome di una pur dubbia libertà di stampa, non possano essere motivo di dubbio sul reale comportamento di stati che si auto nominano campioni dei diritti civili. L'intreccio che si è venuto a creare, tra relazioni diplomatiche ed i possibili sviluppi intorno al caso del fondatore di Wikileaks, fornisce la misura di quanto stati più deboli sappiano sfruttare le occasioni per riempire i vuoti che si sono venuti a creare negli equilibri mondiali: non è un caso che Correa ha espressamente dichiarato che si tratta di una lotta tra Davide e Golia, ma può essere l'occasione per i tanti Davide del mondo di unirsi per guadagnare visibilità ed importanza. In effetti se la questione viene impostata come protezione fornita ad una persona per le sue opinioni politiche, risulta difficile stare dalla parte degli inglesi, che, anzi, ne escono, a prescindere da ogni finale possibile della vicenda, come i perdenti in assoluto, per avere assunto un atteggiamento contrario al diritto. D'altro canto l'Ecuador, dopo una minaccia esplicita ad una sua sede diplomatica, non poteva cedere di fronte a minacce irragionevoli ed inopportune, ed ha così assunto un ruolo di paladino dei diritti facilmente condivisibile, ottenendo l'appoggio anche implicito di un'area ben più vasta di quella dei paesi centro americani. Vi è ancora un aspetto che è parso trascurato da più parti: il silenzio delle Nazioni Unite di fronte alla minaccia di una violazione così palese. La mancata reazione, che doveva essere di sanzione automatica, del Palazzo di vetro pone inquietanti interrogativi sulla reale indipendenza dell'organismo creato per favorire la cooperazione dei popoli in nome del diritto; il fatto è gravissimo ed impone un rimedio che permetta di riguadagnare la fiducia, oltre che dell'opinione pubblica mondiale, di quei paesi del terzo mondo che si sono spesso sentiti trascurati dalle Nazioni Unite.
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