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venerdì 10 agosto 2012
Israele ed Egitto collaborano nel Sinai
Le conseguenze di quanto accaduto nel Sinai, la recente vicenda dove gruppi di jihadisti sono fortemente sospettati di avere ucciso 16 guardie di frontiera egiziane, hanno aperto nuove prospettive sugli equilibri regionali. La volontà egiziana di stroncare i movimenti alla frontiera con Israele dei gruppi islamici radicali, ha aperto forme di collaborazione inaspettate tra Tel Aviv ed Il Cairo. Infatti il governo israeliano ha aperto, seppure per un tempo limitato, il proprio spazio aereo all'aviazione leggera egiziana, per consentire l'impiego di elicotteri da guerra nella repressione dei movimenti sulla linea di confine tra i due stati. Per l'islamico, politicamente oltre che di religione, Morsi, il nuovo presidente egiziano, si tratta di una sfida importante, che testimonia come la questione della pace con Israele sia un punto centrale del suo mandato, come aveva affermato più volte, senza mai essere completamente creduto. D'altra parte una cosa è l'appoggio alla questione palestinese, anche con il sostegno materiale a gruppi come Hamas, altra cosa è il controllo del proprio territorio da gruppi terroristici indipendenti e non bene inquadrati in logiche strutturate ed organizzate. La questione è importante perchè attraverso la repressione di questi gruppi, Morsi vuole, innanzitutto evitare dubbi o confusioni da parte israeliana, che potrebbero generare dei conflitti armati tra i due stati. Del resto questa strategia è apparsa da subito una strada possibile ai gruppi terroristici, che hanno interesse ad alterare il pur fragile stato di pace tra i due paesi confinanti, per avviare una spirale capace di degenerare lo stato di stabilità regionale. Ad alimentare l'urgenza della risoluzione del problema vi è anche l'attività clandestina di questi gruppi radicali, che verte sul traffico di armi, droga ed esseri umani, spesso esercitati con la complicità delle tribù beduine, che costituiscono sia un mezzo di finanziamento per le attività terroristiche, sia un elemento di destabilizzazione per la sicurezza interna egiziana, perchè coinvolgono direttamente diverse reti di malviventi. Ed è proprio in questo ambiente che nascono i pericoli più subdoli per il rapporto tra Egitto ed Israele: se parte un attentato verso Tel Aviv, da queste zone, potrebbe risultare facile per gli israeliani accusare il nuovo governo egiziano, come minimo, di scarsa vigilanza, se non di aperta collusione con gli attentatori. L'azione di Morsi, che ha anche compreso la distruzione dei tunnel sotto il Sinai, che sono stati anche strategici per Hamas, ma non solo, perchè hanno favorito proprio quei traffici fonti di tanti dubbi sulla lealtà egiziana, è fondamentale per la distensione tra i due paesi ed afferma la chiara volontà da parte del governo del Cairo, di matrice islamica, di non volere alterare sia gli accordi, che gli equilibri regionali. Morsi, essendo appunto di matrice islamica, deve faticare maggiormente per accreditarsi di fronte allo scettico panorama internazionale, che teme per il paese una deriva religiosa. In questo senso il banco di prova dei rapporti con Israele costituisce un esame probante e l'apertura di credito che ha consentito agli elicotteri egiziani di sorvolare lo spazio aereo di Tel Aviv è una prova dell'avvio di una collaborazione che dovrebbe mantenere inalterata la pace tra i due stati. Sicuramente anche gli Stati Uniti si sono adoperati dietro le linee per favorire questa manovra, che si può definire congiunta, del resto anche per l'Egitto governato dai partiti islamici l'alleanza con Washington resta centrale, sia in chiave di politica estera, che interna. Per Israele nel momento contingente, l'azione egiziana può significare allentare la tensione da quella parte della sua frontiera, per concentrarsi maggiormente verso quella libanese, particolarmente critica per i fatti siriani, mentre in proiezione futura possono essere costruite delle basi per aprire una nuova fase diplomatica con uno stato governato da movimenti islamici, che può costituire un esempio da seguire nei rapporti con altri stati arabi.
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