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mercoledì 8 agosto 2012
L'Iran resta fedele alla Siria
Il regime iraniano, ribadendo la sua alleanza con la Siria di Assad, mostra tutta la sua paura per gli sviluppi della situazione ed investe il tutto per tutto, confermando l'alleanza di Teheran con Damasco. Proprio nella capitale siriana è giunto un inviato del governo iraniano per rinforzare i legami tra i due paesi, giudicati fondamentalmente strategici per il regime degli ayatollah, per la difesa della nazione scita contro Israele e Stati Uniti. In questa alleanza l'Iran iscrive anche i miliziani libanesi di Hezbollah e la causa palestinese. Ma proprio da quest'ultima stanno arrivando le prime delusioni, sia per Assad, che per Ahmadinejad: infatti nei campi profughi palestinesi presenti nel territorio siriano, sta crescendo, in modo esponenziale, il sostegno verso i ribelli, causato dai ripetuti massacri ad opera dlle forze regolari, che hanno anche colpito recentemente, alcuni campi profughi con mezzi di artiglieria pesante. Per l'Iran il mutato atteggiamento dei profughi presenti in Siria verso Assad, costituisce una pesante delegittimazione, capace di minare la tanto ricercata leadership, che appare ormai compromessa, dei paesi arabi contro l'entità sionista ed il nemico americano. Per rovesciare la visione che viene percepita da tutto il mondo dei fatti siriani, e cioè, una ribellione contro una dittatura trasformata in guerra civile, l'Iran si sta adoperando per accreditare la propria interpretazione, che consiste nella negazione del conflitto interno, ma offrendo una lettura che opta per uno scontro organizzato da nemici esterni, facilmente individuabili negli USA ed in Israele, per rovesciare gli equilibri della regione. Cercando un punto di vista obiettivo è innegabile che vi sia una parte di verità in quanto asserito dagli iraniani, anche se è difficile ricostruire le fasi iniziali della rivolta, su di una base di partenza suggerita esclusivamente da soggetti esterni. E' pur vero che una differente gestione della situazione fin dalle fasi iniziali, proprio da parte di Assad, tramite maggiori concessioni ai rivoltosi, avrebbe, insieme con l'effetto di evitare l'ingente spargimento di sangue, potuto avere sbocchi più morbidi per un regime che ora pare destinato ad essere annientato. Non è chiaro come tutti i dittatori della primavera araba abbiano avuto un percorso comune di fronte alle ribellioni. Percorso che ha compreso la repressione via via più feroce, per poi concludersi con l'inevitabile sconfitta. L'errore fondamentale di Assad, a capo del paese che per ultimo è stato oggetto della rivolta è stato quello di non assumere un atteggiamento differente, proprio sulla base di quello successo ai suoi colleghi destituiti. Il dubbio legittimo che consegue ad una simile riflessione è che Damasco sia stato influenzato da potenze esterne fortemente interessate al fatto che Assad restasse al potere, per tutelarne gli interessi. Se questa ipotesi è vera, l'Iran non può che essere tra queste forze straniere, come dimostrato, tra l'altro, dalla presenza di propri miliziani, sia nelle fasi iniziali della repressione, sia in quella attuale, come testimonia la vicenda dei presunti pellegrini iraniani arrestati dai ribelli con l'accusa di essere, in realtà, agenti fiancheggiatori delle forze regolari. L'Iran ha chiesto la collaborazione sia della Turchia che del Qatar, per la liberazione degli ostaggi. La richiesta implica, da parte iraniana, un riconoscimento del ruolo svolto dai due paesi come sostenitori delle forze ribelli siriane, in quanto l'Ankara sta fornendo asilo sia ai profughi, che ai disertori dell'esercito regolare mentre Doha ha effettuato e sta effettuando, insieme all'Arabia Saudita, ingenti rifornimenti di armi e materiale alle truppe ribelli. Alla fine per non urtare la suscettibilità di questi due stati, Teheran ha indicato gli USA, proprio perchè fornitori anch'essi di aiuti alle forze contrarie al regime, di essere i diretti responsabili della salute degli ostaggi, ripercorrendo una strada diplomatica, oltre che consueta, ormai diventata abusata.
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