La velocità con cui i mercati stanno condizionando la vita degli abitanti dell'Unione Europea, continua a produrre reazioni politiche che muovono l'opinione pubblica sempre più verso le ali estreme delle formazioni politiche. Certo per ora è una tendenza non maggioritaria ma che rivela una propensione degli elettori al rifiuto dei partiti tradizionali che occupano le posizioni di governo. Il fenomeno è rivelatore di una percezione piuttosto netta sulla responsabilità della crisi e dell'inadeguatezza delle misure prese, che sono andate a pesare solo su di una parte ben definita della società europea. Il dato comune, infatti, evidenzia lo scontento dei ceti medi e medio bassi i cui redditi sono stati fortemente decurtati da misure pressochè analoghe, applicate in nazioni differenti. La crescita delle ali estreme del panorama politico, diventa, quindi, la logica conseguenza di una radicalizzazione di una situazione caratterizzata dall'assenza di controllo, che ha permesso materialmente la grave situazione attuale. Ma, se nell'immediato, proprio per la mancanza di peso politico nelle sedi parlamentari, questo fenomeno reata circoscritto alla sola protesta, in un prossimo futuro segnato da competizioni elettorali imminenti, una affermazione elettorale di questi movimenti potrà creare diverse condizioni capaci di bloccare il necessario processo di integrazione europea, che resta l'unica strada per fare uscire il vecchio continente dalle sabbie mobili della crisi finanziaria. Intanto una frammentazione più accentuata dell'attuale nei parlamenti nazionali ed in quello comunitario, non potrà che avere effetti di rallentamento sui processi decisionali, con conseguenti cause ostative alla necessaria univocità di indirizzo. Questo segnale, comune sia a paesi da tripla A, come l'Olanda, sia a nazioni in evidente difficoltà come la Grecia, non può essere sottovalutato da chi è attualmente al governo e specialmente ricopre ruoli di maggiore importanza, in virtù della propria forza economica, nella UE. La discrepanza che divide la velocità dei mercati dall'azione politica è ormai assodato, la ragione che impedisce un corretto funzionamento dell'Europa. Le misure studiate e contrattate a lungo sono sempre un passo indietro a ciò che proviene da mercati esenti da regole, che impongono decisioni sempre più drastiche al di fuori di un normale processo politico. In questa ottica la democrazia viene calpestata ogni giorno dall'oligarchia finanziaria, ormai assurta a novello despota, in grado di controllare i destini delle masse della popolazione europea. Ma se sulle prime, cioè all'inizio del manifestazione della crisi si poteva, giustamente addebitare al legislatore europeo, la mancanza di lungimiranza per non avere saputo prevedere gli effetti nefasti di un liberismo troppo accentuato, ormai il fenomeno è consolidato; eppure le istituzioni europee ed i governi internazionali non sono stati ancora in grado di elaborare una strategia politica unitaria volta al contenimento degli effetti deleteri delle oscillazioni finanziarie. Il primo elemento da eliminare è la lentezza della reazione da un punto di vista normativo, in grado, cioè, di procedere da una regolamentazione effettiva ai fenomeni che condizionano i bilanci ed il debito degli stati. Fino ad ora si è proceduto con strumenti puramente tecnici, di natura economica e sopratutto soltanto contingenti, senza il necessario requisito della programmazione a media o lunga distanza. Ma la ragione è logica: per elaborare provvedimenti di tale portata è necessario un supporto di tipo politico e non soltanto tecnico. E' però proprio su questo aspetto che si riscontrano le maggiori deficienze di un governo sovranazionale, che per il momento è del tutto assente. I provvedimenti dei singoli stati , seppure presi in accordo tra i diversi governi, restano, appunto, leggi nazionali o peggio conseguenze di stati di necessità, per risolvere le quali, gli stati più forti impongono ai più deboli. Se da un punto di vista di necessità ed urgenza questo può essere tollerabile in maniera limitata, per essere accettato deve essere accompagnato dall'elaborazione di progetti tendenti ad una maggiore centralità, che favorisca l'indirizzo politico su quello esclusivamente tecnico. Ciò potrebbe permettere, innanzitutto una regolamentazione a livello comunitario, degli aspetti più nocivi delle conseguenze delle oscillazioni finanziarie ed, in seconda battuta, una programmazione legislativa proveniente dalla rinnovata centralità dell'azione politica, legittimata dall'effettiva riaffermazione del ruolo della democrazia, per ora calpestata dalla causa economica. Per fare ciò il tempo non è tanto, senza un adeguato miglioramento delle condizioni generali delle popolazioni, il guadagno in termini di voti di chi cavalca la protesta è destinato ad aumentare in maniera esponenziale. Per limitare il fenomeno è necessario introdurre una politica di redistribuzione che permetta di mantenere un sistema di protezione sociale, capace di riavvicinare lo stato al cittadino ed insieme procedere con riforme in grado di unire in maniera efficace, dal punto di vista politico, la UE, che siano percepite dalla popolazione come una protezione delle istituzioni.
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