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martedì 18 dicembre 2012
L'offensiva diplomatica della Palestina
Il recente trionfo diplomatico dei palestinesi all'ONU, deve essere valorizzato al massimo attraverso una nuova offensiva diplomatica, che costringa Israele a sedersi nuovamente al tavolo delle trattative. Sarebbe questo l'intendimento dei dirigenti palestinesi per combattere lo stato di crescente nervosismo presente in Cisgiordania come nella striscia di Gaza, portato a livelli pericolosi dalle ritorsioni israeliane per l'ingresso nelle Nazioni Unite della Palestina, con dignità di stato indipendente. Il tentativo di edificare nella zona E1, con il chiaro intento di interrompere la continuità territoriale palestinese, elaborato in dispregio del diritto internazionale e poi bloccato sotto lo sdegno delle cancellerie occidentali unito alla disposizione di confiscare il denaro da destinare all'Autorità Palestinese proveniente dalle tasse riscosse da Tel Aviv, sta creando concretamente il pericolo che si verifichi una terza intifada. Se, in teoria, entrambe le parti dovrebbero avere interesse che ciò non si verifichi, in realtà per Israele potrebbe tradursi in un'occasione per mostrare ancora di più i muscoli, come la politica dell'esecutivo in carica ha fino ad ora fatto, costruendo una linea politica, nei confronti dei palestinesi, niente affatto basata sul dialogo. La risposta palestinese, viceversa, vuole vertere su armi di tipo diplomatico, che si basano, innanzitutto sulla simpatia registrata nella sede delle Nazioni Unite, proveniente da diverse nazioni del pianeta. In effetti non si tratta di un sentimento fine a se stesso, ma la consapevolezza, ormai diffusa a livello mondiale, della necessità di mettere fine all'annosa questione della creazione dello stato palestinese, che costituisce sempre una potenziale minaccia, anche solo come pretesto, alla stabilità regionale e con ampi riflessi sul vasto panorama delle relazioni internazionali. La proposta palestinese verso Israele, che dovrebbe essere presentata nel prossimo gennaio, si articolerebbe sulla ripresa delle trattative dal punto in cui furono interrotte nel 2008, alla condizioni dello stop agli insediamenti di Tel Aviv nei territori arabi ed il rilascio dei prigionieri della Palestina. La durata massima delle trattative dovrebbe essere fissata in sei mesi, durante i quali si cercherà di raggiungere un accordo, che preveda, finalmente, la creazione dello stato di Palestina e la relativa definizione certa dei confini. Se questa proposta dovesse essere formalizzata Israele non avrebbe scusanti per sottrarsi alle trattative, che sono viste, anche se non in forma ufficiale, con favore da Obama sempre impaziente di chiudere la partita. Va detto, ancora, che su Israele grava la minaccia, molto temuta a Tel Aviv, di essere citato alla Corte penale internazionale per crimini di guerra, se la richiesta palestinese di adesione all'organismo internazionale verrà accettata. Non è però detto che questa arma, letteralmente puntata su Israele, venga usata, sembra, piuttosto, una opzione di riserva, nel caso il governo israeliano non accetti di sedersi al tavolo delle trattative. Il leader dell'ANP ha, intanto,intrapreso un tour diplomatico, che toccherà i principali paesi europei per perorare la causa della creazione dello stato palestinese.
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