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lunedì 3 dicembre 2012
Per Israele si profila una crisi diplomatica
La principale misura di ritorsione studiata dal governo israeliano, per il riconoscimento della Palestina, come stato osservatore all'ONU, rischia di provocare un incidente diplomatico senza precedenti. L'intenzione di Netanyahu è quella di dare il via alla costruzione di circa tremila case nel territorio della West Bank, in piena Cisgiordania; ma fin qui niente di nuovo, non è la prima volta che Tel Aviv infrange la legge internazionale, grazie all'uso della forza ed al silenzio degli stati occidentali, USA in testa. La differenza, sostanziale, è che i nuovi insediamenti andrebbero ad interrompere la continuità territoriale del futuro stato palestinese, essendo costruiti nella zona denominata E1. Israele non ha mai osato tanto per l'esplicito divieto degli Stati Uniti, ma il tanto temuto riconoscimento palestinese all'ONU pare avere fatto saltare ogni prudenza e cautela all'amministrazione di Tel Aviv. La mossa, oltre che oltremodo avventata, rischia di innescare una serie di situazioni che questa volta porrebbero Israele in un isolamento ancora più forte. Probabilmente Tel Aviv contava sul fatto che la divisione politica tra Hamas ed ANP, ottenuta con la pace dopo i bombardamenti di Gaza, fosse sufficiente per mettere in atto qualsiasi decisione con la solita impunità; ma questa volta ad essere colpita, oltre i palestinesi, è il potere di esercitare la propria sovranità delle nazioni occidentali, sanzionate con un atto che mette in pericolo ogni futuro processo di pace in medio oriente. Se Madrid ha espresso il proprio "disgusto" per l'operazione ed ha convocato l'ambasciatore israeliano, il Regno Unito e la Francia potrebbero ritirare i propri ambasciatori da Tel Aviv, peraltro già richiamati in patria per consultazioni ufficiali sull'argomento. Anche Stoccolma ha convocato il rappresentante diplomatico di Israele, mentre la Germania ha reso pubblica la propria preoccupazione per la decisione di Netanyahu. ul territorio israeliano, tuttavia, credono remote le possibilità di un ritiro definitivo degli ambasciatori dei paesi occidentali, forse perchè increduli ad una variazione così drastica di un comportamento che gli ha garantito, fino ad ora, una libertà di azione senza sanzione alcuna. Perfino Washington, che non ha, per ora, fatto nessun passo ufficiale, ha manifestato la sua opposizione al piano israeliano, pare con enfasi differente rispetto al passato. Se Israele voleva manifestare il proprio dissenso sulla decisione dell'ONU, con un atto particolarmente forte, vi è senz'altro riuscita, il problema ora è cosa seguirà. Netanyahu non vuole apparire debole di fronte al mondo e, sopratutto, di fronte agli elettori con l'imminente votazione in arrivo; in questo momento più della platea internazionale il capo del governo di Tel Aviv pare preoccuparsi della platea interna, tuttavia questo equilibrio alterato può portare il paese in una difficile situazione diplomatica. Nonostante il problema della sicurezza, che peraltro con questo progetto viene notevolmente messa in discussione, alla sensibilità dei cittadini israeliani non può sfuggire che una pessima politica estera, sopratutto per un paese atipico come Israele, è un biglietto da visita non propriamente positivo all'interno della cabina elettorale. Netanyahu pare non capire che il voto favorevole alla Palestina, non inficia il rapporto che gli stati occidentali intendono mantenere con Israele, ed anzichè provare a capire le ragioni di questa scelta, opta per una risposta dura aldilà di ogni ragionevolezza. Ma la natura dello stato israeliano non può prescindere dal rapporto con gli stati occidentali ed europei in particolare; se questi hanno una visione differente da quella del capo del governo di Tel Aviv e, magari, forse, pensano, che l'ingresso della Palestina alle Nazioni Unite, possa essere un elemento che potrebbe favorire il processo di pace, Israele ha, prima di tutto, il dovere di rispettare tale scelta, e poi di cercare di comprenderne le ragioni, anzichè attaccare a testa bassa. Uno stato israeliano senza gli ambasciatori dei principali paesi europei, sembrerà una nazione decapitata dei rapporti più funzionali alla sua stessa sopravvivenza, dove il passo immediatemente successivo potrebbe essere quello delle sanzioni. A quel punto Tel Aviv potrebbe andare sullo stesso piano di Teheran, la capitale di uno stato pericoloso per la pace del mondo.
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