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Politica Internazionale
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venerdì 4 gennaio 2013
La contesa delle isole nel mondo, elemento di potenziale peggioramento delle relazioni internazionali
Insieme alle dispute dei mari orientali asiatici, che riguardano piccoli gruppi di isole contese da potenze più o meno grandi, come Cina, Giappone e Corea del Sud, in questi giorni torna alla ribalta la questione delle isole Falkland o Malvinas, grazie ad una lettera inviata dalla Presidentessa argentina, Kirchner, al premier britannico Cameron, in cui se ne richiede la restituzione a Buenos Aires, in ragione della risoluzione ONU del 1960, che invitava le nazioni membro a cessare il colonialismo. Secondo l'Argentina le isole le furono strappate con la forza proprio con un atto tipico del colonialismo ottocentesco, cui non è mai stato messo riparo e che pregiudicato la continuità e l'integrità del paese sud americano. In verità un referendum è previsto a Marzo tra gli abitanti delle isole ed il suo esito appare scontato in favore della Gran Bretagna, che, proprio facendo leva su questo risultato atteso, rifiuta qualsiasi negoziato senza l'avvallo dei residenti. Il precedente degli anni ottanta dello scorso secolo, rappresenta però, un pericoloso antefatto: la giunta militare argentina, nel tentativo di distogliere l'attenzione dai problemi interni del paese, invase le isole con una forza militare che diede origine alla risposta inglese, dando il via ad un conflitto che causò la morte di 255 militari britannici e 649 argentini e si concluse con la vittoria di Londra ed aprì la strada alla caduta del regime insediatosi a Buenos Aires. Le analogie con la situazione attuale sono evidenti: il governo argentino in carica è alle prese con problemi interni, principalmente di natura economica, ma che riguardano anche la corruzione della classe al potere, sui quali tenta di sviare l'attenzione seguendo uno schema classico degli esecutivi in difficoltà, che puntano a temi di politica estera per creare temi di attenzione, spesso sovrastimati, in grado di distogliere l'attenzione e la concentrazione dell'opinione pubblica da problematiche più pressanti, sulle quali è necessaria una maggiore libertà di azione lontano dai riflettori della stampa e dei media. Ma a queste motivazioni se ne aggiungono anche altre di ordine economico, non è un caso che il risveglio delle rivendicazione nazionalistica sia avvenuta in coincidenza con la volontà britannica di effetuare perforazioni nel mare intorno alle isole per la ricerca del petrolio. Peraltro le Falkland o Malvinas non sono l'unico territorio conteso tra i due stati: esiste una ampia porzione del territorio antartico, che recentemente è stata denominata "Queen Elizabeth land" da Londra e che è da tempo rivendicata da Buenos Aires, anche in questo caso i ricchi giacimenti di materie prime, sono senz'altro all'origine della contesa. Come si evince dalla successione di questi fatti, esistono segnali preoccupanti che indicano che gli equilibri presistenti in tante parti del globo, spesso intorno ad isole o arcipelaghi poco più che disabitati e spesso posti in posizione defilata, sono alterati da nuove rivendicazioni generate da necessità politiche interne, è appunto il caso argentino, ma anche quello del Giappone nella contesa con la Cina, o potenzialità economiche fino ad ora non solo non sfruttate ma, in certi casi, neppure prese in considerazione, dove l'elemento energetico è spesso preponderante o almeno in concorso con l'elemento strategico di natura militare o mercantile e, non ultima, anche la risorsa ittica concorre ad essere una ragione del contendere. Questo trend delle relazioni internazionali è stato finora troppo sottovalutato, ma merita una attenzione molto rilevante ma perchè potenzialmente rappresenta un fattore di rischio molto alto nella dialettica tra gli stati, con oggettive possibilità di degenerare in qualcosa di più grave che accuse espresse nelle note ufficiali dei governi. I rischi di conflitti marini, con evidenti ripercussioni sui commerci e la produzione e quindi sui costi di produzione, devono allertare tutte le diplomazie mondiali affinchè venga trovata una strada risolutiva univoca, che tracci una soluzione generale preventiva. Il silenzio, veramente assordante, delle organizzazioni internazionali e sopratutto dell'ONU, che è assente nella sua funzione essenziale di organismo sovranazionale supremo, perchè asservito a logiche tutt'altro che internazionali, non può che suscitare viva preoccupazione. Non sono soltanto le grandi potenze che si devono attivare nell'ambito generale dell'argomento, ma anche le medie potenze possono adoperarsi per una azione di convincimento e sopratutto di regolamentazione, che sappia creare condizioni universali cui attenersi. La prevenzione di qualsiasi focolaio di contesa diventa essenziale in una economia, principalmente, ma anche in una politica internazionale, sempre più globalizzate, dove la riduzione della potenzialità conflittuale è necessaria ad evitare quelle ripercussioni meccaniche sugli indici finanziari, capaci di creare situazioni di crisi oggettive. In conclusione non si può che auspicare l'apertura di una conferenza internazionale che possa gestire anticipatamente queste questioni, impedendone il loro potenziale sviluppo negativo.
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