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mercoledì 2 gennaio 2013
Turchia e curdi cercano un'intesa
Per la Turchia la questione curda è diventata una priorità da risolvere. Le trattative che sarebbero in corso con il leader del Partito Curdo dei Lavoratori, Abdullah Ocalan, in prigione dal 1999, dovrebbero già essere in stato avanzato, ed il primo ministro turco, Erdogan, ha ammesso che presto potranno vedersi effetti concreti. Al momento le azioni di guerriglia dei curdi sono praticamente ferme, per lo stop imposto dal rigido clima invernale, lo scopo principale dello stato della Turchia è che non riprendano con la primavera prossima.
Il conflitto tra i curdi e la Turchia va avanti dal 1984, ed è costato la vita a circa 45.000 persone, in maggioranza di etnia curda, con un costo stimato tra i 300.000 ed i 450.000 milioni di dollari. Il Partito Curdo dei Lavoratori, formazione fuori legge per Ankara e considerato movimento terroristico da UE ed USA, è il principale avversario del governo turco, fondato nel 1978, ha come scopo il raggiungimento dell'autonomia e del riconoscimento dei diritti politici per i curdi della Turchia ed in ultima analisi, la creazione di una nazione curda autonoma. In Turchia i curdi sono circa 15 milioni, pari al 20% dell'intera popolazione, e considerano Ocalan il loro leader legittimo, tanto che il governo di Ankara, che pure lo ha condannato, lo ritiene l'interlocutore di maggior peso politico nella trattativa. Tuttavia i tanti anni di carcere hanno allontanato materialmente Ocalan dalla base del movimento e gli scettici ritengono che ciò potrebbe avere minore influenza di quella attesa dal governo turco, nei colloqui in corso. In realtà la trattativa è una esigenza per entrambe le parti: i curdi, in questi anni, non hanno ottenuto risultati apprezzabili e la Turchia, pressata da esigenze internazionali, ha la necessità di scongiurare, come minimo, una ripresa degli attentati, cui è stata spesso vittima. Va detto che Erdogan, ha qualche responsabilità in più per la situazione che si è creata: infatti con la sua elezione del 2011, uno dei primi atti fu di interrompere l'allora trattativa in corso, che durava dal 2009 ed è nota come il processo di Oslo, dalla sede degli incontri tra le due delegazioni. L'attuale premier turco ha sempre messo al centro della sua azione politica, sopratutto iniziale, l'integrità della Turchia e la dura contrarietà a qualsiasi concessione all'etnia curda, anche soltanto quella di prevedere forme di autonomia in favore delle minoranze, metodo usato in altre nazioni per favorire l'inclusione pacifica di gruppi etnici non perfettamente integrati. Questa rigidità ha creato una situazione di reciproca diffidenza, anche in ragione di applicazione di leggi che hanno penalizzato quella parte della società curda nettamente contraria a forme di violenza; ciò ha decapitato il potenziale dialogo che poteva favorire sbocchi pacifici ed ha esacerbato gli animi, creando i presupposti per una maggiore influenza nella società curda delle posizioni più radicali. La Turchia, che è protagonista di una crescita economica considerevole ed ambisce a diventare una affermata potenza regionale, ha necessità di una situazione di tranquillità all'interno dei propri confini, ma non è pensabile che continui la sua linea di intransigenza nei confronti dei curdi, per avere successo nelle trattative in corso dovrà obbligatoriamente fare delle concessioni e favorire la crescita delle parti meno propense alla violenza; ciò sarà possibile soltanto con una revisione radicale del proprio atteggiamento che non potrà non prevedere la concessione di forme di autonomia, sopratutto politica all'interno del proprio territorio, in quella parte dove l'etnia curda è maggioritaria.
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