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martedì 19 marzo 2013

Con il nuovo governo di Israele la situazione tra israeliani e palestinesi è destinata a peggiorare

Se la condizione per arrivare ad una pace stabile e regolare la questione palestinese in modo definitivo è il rispetto dei confini stabiliti nel 1967, entro cui devono esercitare la propria sovranità i due stati, quello israeliano e quello palestinese, la soluzione dell'annosa questione è sempre più lontana. La costituzione del nuovo governo israeliano, infatti, guidato sempre da Benjamin Netanyahu sembra allontanare ulteriormente le possibilità di dialogo tra le due parti. Ciò pare ancora più rimarcato rispetto al governo precedente per la presenza in alcuni dicasteri chiave di personaggi che appartengono o almeno simpatizzano in maniera forte per il movimento di espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Se la condizione economica del paese israeliano, che vive un momento di grave crisi, sembrava avere fatto passare in secondo piano il problema palestinese, in favore di una maggiore concentrazione sui problemi sociali e del lavoro, ciò non ha però determinato un allentamento delle posizioni di Tel Aviv sulla materia degli insediamenti, ritenuta, giustamente, fondamentale per i palestinesi al fine di imbastire nuove trattative per la pace. L'impressione è che per Benjamin Netanyahu, le necessità del paese siano servite come schermo per accentuare i suoi programmi di espansione nei territori, in spregio a qualsiasi opportunità di natura di politica internazionale. Il conferimento di ben tre ministeri al partito che cura gli interessi dei coloni, tra cui quello per l'edilizia abitativa, problema molto sentito nel paese, significa il chiaro appoggio al programma che prevede il finanziamento della costruzione di nuove colonie oltre la linea verde. Occorre ricordare che dal 2009 Netanyahu ha approvato la costruzione di 6.900 alloggi nella West Bank ed a Gerusalemme est, mentre alla fine dello scorso anno annunciò l'intenzione di costruirne altri 11.000 nei prossimi anni. L'atteggiamento di Israele a questo punto pare andare contro ogni opportunità politica, il momento attuale con la guerra siriana alle porte, il Libano sempre più vicino ad un nuovo periodo di instabilità, il peso crescente dei partiti confessionali musulmani nei paesi arabi e la questione iraniana tutt'altro che definita, imporrebbero una maggiore cautela nei comportamenti, specialmente in un argomento così sensibile per tutto il mondo arabo, come l'espansionismo delle colonie in territorio cisgiordano. Alla luce di queste considerazioni non pare chiara la strategia che si sta elaborando a Tel Aviv, sopratutto in rapporto alla posizione dell'ONU e di molti stati occidentali, che temono che l'atteggiamento di Israele provochi risultati fortemente negativi nelle relazioni internazionali. Anche gli Stati Uniti seguono con apprensione i programmi del nuovo governo di Israele, che pare stia facendo di tutto per provocare i palestinesi, tra Benjamin Netanyahu e Barack Obama i rapporti non sono mai stati dei migliori, ma non è facile prevedere un ulteriore deterioramento, in un momento nel quale gli USA preferirebbero stare più lontani possibile dal medio oriente. Naturalmente le reazioni palestinesi sono di chiusura totale a quelle che appaiono vere e proprie violazioni continuate di quegli accordi che sono ormai considerate carta straccia dagli israeliani. Difficile che le intenzioni del nuovo governo di Tel Aviv non possano provocare una reazione palestinese: quelli che verranno si annunciano tempi difficili per la stabilità e la pace mediorientali.

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