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mercoledì 24 aprile 2013
La Corea del Nord chiede il riconoscimento di potenza nucleare
La Corea del Nord è disposta ad avviare un dialogo con gli Stati Uniti, se verrà riconosciuta come potenza nucleare al pari del paese americano. Si tratta di una evoluzione della strategia diplomatica nordcoreana, che non deve però sorprendere; per il regime di Pyongyang risulta di fondamentale importanza essere riconosciuto a livelllo internazionale come stato nucleare in funzione di dinamiche interne, che sono, probabilmente, in divenire. L'esigenza di stabilizzare gli equilibri endogeni allo stato della Corea del Nord, giocano una partita importante negli equilibri regionali e nei rapporti con conflittuali che si sono sviluppati con gli altri stati. Ma la richiesta di Pyongyang sarà difficilmente accolta da Washington, perchè è in aperto contrasto con quanto finora praticato attraverso il regime delle sanzioni, cui Pyongyang resta vittima. D'altronde, però, la principale richiesta espressa dalla Corea del Nord, proprio in forza dell'assunto che si basa sulla volontà di riconoscimento reciproco, consiste del rifiuto della costrizione imposta da uno stato ad un'altro di smantellare i propri armamenti nucleari. Dal punto di vista nordcoreano la richiesta è ineccepibile, la sovranità di ogni singolo stato non può non consentire di sviluppare al proprio interno armi che gli consentano una difesa ritenuta appropriata; certo è diverso il caso che si verifica qualora, questo armamento possa essere usato come offesa o minaccia verso un altro paese. La posizione degli Stati Uniti è supportata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU ed ha, quindi, una patente sovranazionale che dovrebbe fornire una autorità maggiore; tuttavia tutti i menbri permanenti del Consiglio di sicurezza sono dotati di armamento nucleare ed a nessuno di questi viene chiesto da altri di smantellare i propri arsenali. Esistono, è vero, dei programmi di riduzione degli armamenti atomici, ma questi non prevedono l'abbandono generale dell'opzione nucleare. Quindi dal punto giuridico la richiesta nordcoreana può fare segnare un punto a proprio favore, che, certamente consentirà di guadagnare tempo. Politicamente la questione è di tutt'altro tenore. Volenti o nolenti siamo in un assetto mondiale dove il potere è appannaggio di determinate nazioni, che decidono, in un quadro di equilibrio ristretto, su casi come quello nordcoreano. Peraltro il grosso torto di Pyongyang è di avere minacciato espressamente paesi terzi, tra cui gli USA, di bombardamento atomico, aggravando la propria posizione nel teatro internazionale. I rapporti di forza sono chiari e delineati e la Corea del Nord non può costituire una eccezione, ne in termini militari, ne in termini di esempio da seguire per altre nazioni. Quello che sta accadendo è che la Corea del Nord, dopo le minacce di una escalation nucleare, che francamente non ha mai convinto alcuno, abbia intrapreso una politica diplomatica altrettanto estrema, dettata dall'esigenza di non sfigurare sul piano interno, con una sconfitta internazionale. La proposta di trattare alla condizione che le sanzioni siano cessate con la presentazione di pubbliche scuse e la fine delle pratiche di guerra nucleare americana, rappresentano una proposta irricevibile, ma sono comunque una partenza che può permettere di arrivare ad una forma di accordo. Se la risposta americana è stata altrettanto ferma, cioè con il dialogo che può ripartire alla sola condizione del disarmo, chiaramente unilaterale, della Corea del Nord, che deve essere attuato attraverso la sospensione dei programmi e test nucleari, la situazione apparente che si presenta è quella di una stasi totale. In realtà Pyongyang cerca una via di uscita onorevole da una situazione che non può più sostenere e che si sta sgonfiando via via che passano i giorni. Gli Stati Uniti per disinnescare la minaccia di Pyongyang devono concedergli una via di uscita onorevole, che permetta alla dittatura di presentarla come una vittoria, attenuando magari le sanzioni e prevedendo programmi di aiuti umanitari di cui il paese ha sicuramente bisogno. Ma il passo successivo deve essere convincere la Cina della necessità di operare un cambiamento all'interno del potere nordcoreano, magari con un governo emanazione di quello cinese, nell'ottica bieca della spartizione territoriale, ma che assicuri un atteggiamento diverso in modo di assicurare la stabilità regionale.
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