Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

mercoledì 10 aprile 2013

Le cause della crisi nordcoreana

Le ragioni della crisi nordcoreana sono insite nell'evoluzione storica che il paese ha attraversato fin dagli anni 50 dello scorso secolo. La nazione, di impronta stalinista fin dai suoi inizi, ha incentrato il suo sviluppo sulla dottrina dell'autosufficienza, che ha determinato un progressivo, ma sostanziale isolamento, specialmente da quei paesi che potevano essere gli alleati naturali di Pyongyang: l'Unione Sovietica e la Cina di Mao. Con lo scorrere del tempo la trasformazione di questi paesi in economie di tipo capitalistico, ed anche con nuovi sistemi politici, l'isolamento della Corea del Nord nel consesso internazionale si è fatto più acuto: i rapporti con Mosca, pur esistenti, si sono rarefatti, mentre il legame più forte, se questa definizione si può applicare per il rapporto tra Pechino e Pyongyang, è rimasto con la Cina, anche se gli sviluppi di questi giorni fanno dubitare dell'effettiva influenza cinese, fin qui data per scontata, sul paese nordcoreano. Per il resto le relazioni con gli altri stati sono sporadiche e ridotte, tanto che a Pyongyang le ambasciate presenti sono soltanto una decina ed il paese si è così guadagnato la definizione di nazione eremita. Se questa è stata la sostanziale evoluzione dei rapporti internazionali, all'interno si è sviluppata una forma singolare di marxismo leninismo, incentrata sul culto della personalità, molto estremizzato, tanto da diventare l'unico paese di impronta socialista con trasmissione del potere per via dinastica. La sacralità della figura principale, iniziata con quello che viene definito il fondatore della nazione: Kim Il-Sung, ha raggiunto livelli paragonabili ad esempi del passato remoto della storia, quando al re era riconosciuto un potere sacro tanto da identificarlo con la divinità, ma che trasposti ai giorni nostri si è tramutata in una situazione parodistica, confinante con il ridicolo. Ne sono un chiaro esempio le statue, di stampo razionalistico, che raffigurano il dittatore in pose tragicomiche. Alla dottrina dell'autosufficienza, con il secondo esponente della stirpe comunista Kim Jong-Il, si è affiancato il dato distintivo della preminenza del settore militare, logico sviluppo della necessità di onnipotenza del regime. Questo scenario ha creato una casta militare, che, aldilà degli aspetti folcloristici degli assetti dello stato, risulta essere il vero ceto del paese detentore del potere. Al settore militare, infatti, è destinata la grande parte del budget dello stato, in omaggio agli obiettivi della supremazia delle forze armate in un quadro di stabilità del regime, che hanno creato un tessuto sociale immobile e sottomesso alle gerarchie, anche grazie ad un ferreo controllo dell'apparato dello stato. In una simile situazione la crescita economica è passata in secondo piano, facendo attestare il grado di vita della popolazione su livelli di pura sussistenza, spesso neppure raggiunta, come hanno dimostrato le crisi alimentari e le carestie, che hanno flagellato il paese. Nonostante questo clima, per certi versi ovattato per le gerarchie al potere, Kim Jong-Il aveva capito la necessità di una riforma economica in grado di formare una industrializzazione del paese, sebbene sotto un attento controllo delle classi al potere. Ma i tanti anni di stasi politica e sociale hanno impedito anche le più piccole riforme per il timore di mettere in pericolo l'impalcatura che sorreggeva il regime, per la remota paura di scatenare tensioni sociali. Il leader attuale, Kim Jong-Un, che rappresenta la terza generazione dei dittatori nordcoreani, è al comando del paese da due anni ed è arrivato al potere praticamente in balia della struttura militare. Non si conoscono le reali intenzioni, ne l'effettivo potere che il nuovo leader ha a disposizione ed, anzi, esistono, ragionevoli dubbi sulla sua reale autonomia. Un dato di fatto è che l'atteggiamento di Kim Jong-Un appare profondamente mutato dal suo insediamento, quando aveva parlato di una trasformazione economica del paese, grazie ad un processo di industrializzazione, che pareva potere fare uscire il paese dal suo isolamento internazionale. Se queste intenzioni erano vere, anche solo in minima parte, devono essersi scontrate con la paura del ceto militare di una potenziale perdita consistente del proprio potere; ciò potrebbe essere il segnale del profondo deterioramento della situazione interna, dovuta alla concomitanza di alcuni fattori: il primo è la povertà endemica del popolo nordcoreano, che a causa della penuria alimentare potrebbe avere alterato alcuni equilibri interni, il secondo è l'aggravamento della situazione del paese dovuto al regime di sanzioni, imposto per gli esperimenti nucleari e sottoscritto, per la prima volta, anche dalla Cina; terzo è la necessità di superare i primi due fattori attraverso l'immediato reperimento di risorse per alleviare lo scenario interno, con lo strumento del ricatto militare, i cui destinatari non sono gli Stati Uniti, da cui può arrivare ben poco, ma la Cina, grazie alla minaccia di sovvertire i delicati equilibri regionali, necessari ai commerci di Pechino. Se questa analisi è vera, quella di Pyongyang è la mossa della disperazione, che non può che portare il regime verso l'implosione; il problema è quanto sarà lunga la dissoluzione del regime e quanto influirà sui delicati assetti, sia politici, che economici di una zona ormai nevralgica per il pianeta.

Nessun commento:

Posta un commento