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venerdì 5 aprile 2013
Nella crisi nordcoreana gli aspetti economici sono sottovalutati
Uno degli effetti della questione coreana, che non è stato messo fino ad ora nel giusto rilievo, è la guerra economica che il Nord ha dichiarato al Sud. Facendo una riflessione più approfondita, anzi, definirlo effetto non sembra corretto, perchè, invece, pare una delle cause della crisi. La collaborazione economica tra le due Coree si è esplicata in varie forme, reciprocamente vantaggiose, e la zona industriale di Kaesong, posta sul 38° parallelo, quello che separa il confine dei due paesi in base alla fine della guerra di 60 anni prima, costituisce un esempio molto chiarificatore al riguardo. La produzione di questo complesso industriale, dove vengono prodotti, tra gli altri, ceramica, abbigliamento, elettronica, componenti per autoveicoli è stimata in un valore di 367 milioni di euro annui, dà lavoro a 56.000 lavoratori nordcoreani impiegati in 123 aziende della Corea del Sud. Si tratta di numeri ingenti per qualsiasi paese e sopratutto per una nazione depressa come quella di Pyongyang. Per le aziende di Seul, ma anche per quelle cinesi che acquistano i prodotti finiti, impiegare i lavoratori nordcoreani significa un notevole risparmio, che permette una minore spesa sul costo del lavoro cinese del 30% e su quello sudcoreano del 50%. Il divieto di accesso, che i nordcoreani stanno applicando a questa zona industriale provocherà, con la fine delle scorte stoccate in Corea del Sud ed in Cina il blocco della produzione in diverse aziende con la relativa ricaduta economica. Finora queste misure adottate da Pyongyang sono state lette come una ritorsione accessoria ad un conflitto di tipo politico e militare, non inquadrando la questione come una delle possibili cause, certamente da affiancare a questioni geopolitiche e di equilibri interni della Corea del Nord, non secondarie alla base della crisi internazionale. La Corea del Nord è un paese sull'orlo di un collasso economico e sociale, più volte negli anni passati è stata investita da carestie alimentari, ed ha bisogno, sopratutto dopo il cambio al vertice, di ritagliarsi un proprio spazio nel panorama internzionale, dove trovare una propria collocazione, che permetta il mantenimento della propria sovranità con un sistema politico, obiettivamente, fuori dal tempo. L'esigenza è però particolarmente sentita, perchè costituisce proprio il presupposto della vita stessa del paese e delle istituzioni che lo governano. Per una nazione normale si tratterebbe di un processo lungo e laborioso, che dovrebbe presupporre l'attitudine ad una dialettica sia interna che internazionale, doti assolutamente assenti nella Pyongyang odierna. L'urgenza del cambiamento delle proprie condizioni generali, giunta ad una incapacità totale di dialogo, derivante da anni di totale isolamento, tanto da essere definita lo stato eremita, ha optato all'elaborazione di una strategia aggressiva, concretizzatasi nella minaccia nucleare. Poco importa se i destinatari principali degli strali di Kim Jong-un sono gli USA e la Corea del Sud. La Cina è minacciata anch'essa, seppure indirettamente e così il Giappone. Quello che sfugge agli analisti è che Pyongyang vuole una maggiore ricchezza per se, da ottenere mediante aiuti ed investimenti in grado di risollevare il paese. Tuttavia una obiezione sensata potrebbe essere che il regime nordcoreano anzichè impiegare le nuove, potenziali entrate, per sollevare la condizione del proprio popolo, potrebbe ulteriormente aumentare il già pingue budget militare, per ricattare all'infinito il resto del mondo. Si tratta di una considerazione che prevede l'accadimento di una situazione possibile, ma fermarsi a questa ipotesi non può che portare ad uno scontro sicuro. Se si vuole evitare nell'immediato una escalation militare, che non conviene a nessuno, si dovrebbe puntare su di un atteggiamento più morbido, rinegoziare le sanzioni e fare un serio programma di investimenti industriali, che non considerino il paese nordcoreano soltano un serbatoio di mano d'opera a buon prezzo e basta. La cooperazione internazionale dovrebbe essere usata per rivedere il ruolo di Pyonyang all'interno di un processo di industrializzazione del paese, che ora si sente svilito ed una colonia dei vicini più avanzati. Anche questo aspetto morale, che ha provocato un sentimento nazionale di rivalsa, non è stato indagato a fondo e non è stato messo nella giusta luce ed importanza. Le fredde logiche del profitto hanno sopravanzato il ragionamento politico e diplomatico, non permettendo una giusta prevenzione della situazione attuale, di cui peraltro esistevano ampi segnali. Se resteranno i problemi politici e geopolitici, l'abbattimento di quelli economici potrà aprire piani di dialogo del tutto nuovi per una normalizzazione della situazione o almeno per aprire il terreno a forme di dialogo da cui partire per ritrovare l'equilibrio regionale.
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