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martedì 2 aprile 2013
Pechino è il vero obiettivo di Pyongyang
Nonostante la situazione molto tesa, che richiederebbe un atteggiamento più cauto da tutte le parti coinvolte, la Corea del Nord ha annunciato la ripresa dell'attività nucleare nell'impianto di Yongbyon, chiuso nel 2007, nel rispetto degli accordi del 2006 che prevedevano la sospensione dell'attività nucleare in cambio di aiuti economici. Le ragioni ufficiali di questa scelta controversa sono state molto esplicite e risiedono nella volontà di Pyongyang di rafforzare il proprio arsenale nucleare e nel contempo risolvere la carenza energetica del paese. La strategia, che si delinea sempre più netta nell'apparato nordcoreano, è quella enunciata dal leader del paese Kim Jong-Un, che ha espressamente individuato la centralità della forza nucleare del paese, come elemento fondante per assicurare l'inviolabilità della sovranità di Pyongyang in un'ottica della dissuasione di un possibile attacco al paese. Questa visione è stata presentata come una interpretazione per favorire il mantenimento della pace e dell'equilibrio regionale, seppure in maniera chiaramente poco stabile. Il richiamo all'equilibrio del terrore della guerra fredda risulta evidente, tuttavia il paragone con gli attori di allora, che governavano la situazione in maniera decisa è del tutto fuori luogo con uno stato le cui dinamiche interne risultano completamente sconosciute. Del giovane leader, che rappresenta la terza generazione della dittatura comunista ereditaria, non si ha la sicurezza del ruolo che ricopre effettivamente, oltre il protocollo dell'ufficialità, nel sistema di governo della Corea del Nord. Occorre interrogarsi sul perchè questa escalation nucleare avviene proprio in questo momento e cosa ciò può implicare. Non si può non ricordare che dietro al fumoso e poco chiaro passaggio di potere, vi furono voci insistenti di lotte intestine tra i vari apparati dello stato e specialmente tra i militari, che rappresentano, probabilmente, la vera forza detentrice del potere nel paese. Una delle ipotesi è che le determinazioni di governo di Kim Jong-Un provengano, in realtà, proprio dall'apparato militare, di cui sarebbe soltanto il terminale ufficiale, ma escluso dal reale processo decisionale. La casta militare nordcoreana, che è il vertice dell'apparato cui viene destinata la maggior parte del budget statale, appare come un organismo ancorato a visioni ormai superate nella totalità del mondo e che teme di perdere il proprio potere, ancora primario nel paese, travolto da una industrializzazione che Pechino spinge per instaurare nella Corea del Nord. Quello che spaventa la Cina, ma che viene visto anche come una opportunità, è la grave situazione economica del paese, alle prese con uno scenario che sfiora la carestia alimentare e che può generare pericolose migrazioni di massa verso i propri confini; ma dal punto di vista economico la massa umana nordcoreana può anche rappresentare una manodopera a buon mercato, all'interno della propria nazione, per le industrie della Repubblica Popolare Cinese, ormai alle prese con l'innalzamento del costo del lavoro nel mercato interno. Questo tentativo cinese, che non è un elemento di novità, rappresenta anche la volontà di Pechino di aumentare il controllo sulla Corea del Nord, che è ritenuta dal governo cinese non affidabile per le proprie esigenze di stabilità di una regione cruciale per il passaggio delle merci. Va ricordato che per Pyongyang la Cina è l'unico alleato su cui può contare, ma che è gradito soltanto se si limita agli aiuti e non prova a scalfire l'isolamento della Corea del Nord. In realtà Pechino, nella sede del Consiglio di sicurezza dell'ONU, ha compiuto un passo senza precedenti per la sua linea di condotta diplomatica, appoggiando le sanzioni contro Pyongyang, dopo il recente test nucleare. La posizione di Pechino è stata così molto chiara e deve avere creato parecchio sconcerto a Pyongyang. Ma la Corea del Nord non può andare direttamente contro la Cina, sia per ragioni di opportunità politica, che per obiettive condizioni di inferiorità militare nei confronti di una paese con cui, oltretutto, ha parecchi chilometri di frontiera in comune. La strategia elaborata, quindi, è stata quella di rivolgere le attenzioni e le minacce contro gli USA e la Corea del Sud, con il chiaro intento di provocare una alterazione non da poco, all'interno del complesso equilibrio regionale. Le minacce esplicite di bombardamento nucleare anche al Giappone hanno ulteriormente allargato i confini del caos creato da Pyongyang, ma il destinatario, quasi esclusivo è proprio Pechino, che aldilà della cautela ostentata è chiamato a decisioni molto importanti. La Cina, infatti, non potrà tollerare a lungo lo stato di ricatto a cui è sottoposta dalla Corea del Nord, questo apre a scenari potenziali che Pechino deve evitare: il primo è la possibile riunificazione delle due Coree, in caso di implosione di Pyongyang, con una integrazione a favore di Seul, che porterebbe ai confini cinesi un diretto concorrente economico, una ipotesi comunque migliore di quella attuale, ma non del tutto conveniente a Pechino. Un secondo scenario è il mantenimento dello status quo con il pericolo costante delle intemperanze nordcoreane, probabilità che la Cina non pare affatto gradire. Vi è poi, il rovesciamento dell'attuale vertice di potere in favore di uno più funzionale agli interessi cinesi. Questa ipotesi non è facilmente praticabile, per l'assenza totale di una opposizione organica nella Corea del Nord e rappresenterebbe una deviazione significativa ai dettati di politica estera che i cinesi si sono autoimposti, tuttavia, si può facilmente presumere che gli Stati Uniti ed anche, forse, la Corea del Sud non avrebbero da obiettare per una soluzione in questo senso, che potrebbe assicurare quella stabilità regionale che interesse tutti gli attori in gioco e che, proprio per questo, rappresenta l'unica leva che Pyongyang può muovere per tutelare i suoi interessi.
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