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martedì 7 maggio 2013

L'evoluzione della situazione siriana

Dopo i raid compiuti dalla propria aviazione militare, Israele, che tramite il suo governo mantiene il più assoluto silenzio sull'accaduto, si sta adoperando con la Siria, in via non ufficiale, per non fare degenerare la situazione. La posizione di Tel Aviv resta quella della assoluta neutralità rispetto alla guerra civile siriana ed anzi, è risaputo che con Assad al governo si era stabilita una tacita convivenza, che garantiva il paese israeliano da quella parte dei suoi confini. Come per le primavere arabe, che hanno portato al potere governi di tipo confessionale islamico avverando le peggiori previsioni israeliane, i sentimenti di Tel Aviv per queste rivolte non sono mai stati benevoli, perchè mettevano in crisi uno status quo nel quale il paese della stella di David aveva trovato una sua stabilità. Poco importava che fossero spazzati via dittatori: ad Israele interessava la propria convivenza pacifica con i governi arabi, anche se questi erano tutt'altro che democratici. In effetti i governi poi eletti in modo democratico hanno tradito l'essenza stessa delle rivolte, utilizzando il potere conferito dal popolo in maniera altrettanto autoritaria, ma questa volta dal punto di vista religioso. Sembra quindi sincero il governo israeliano, quando dice che gli atti militari compiuti contro i depositi di armi convenzionali nei pressi di Damasco sono stati effettuati, non per facilitare o aiutare le forze ribelli, quanto per evitare che armamenti sofisticati potessero finire in mano ad Hezbollah, per poi minacciare lo stato di Israele dal sud del Libano. Per Assad non essere costretto ad ingaggiare un conflitto, o solo fare delle rappresaglie con Israele è essenziale, poichè l'arma aerea è la sola che gli consente una superiorità militare contro i rivoltosi e non può essere impegnata contemporaneamente anche contro Tel aviv. Inoltre la superiorità schiacciante delle forze israeliane non permetterebbe all'aviazione siriana di uscire indenne da un confronto. La dittatura di Damasco ha quindi tutto l'interesse a mantenere con Israele le relazioni nei modi più pacifici possibili, aldilà delle dichiarazioni pubbliche emesse ad uso e consumo della propaganda di regime. Più interessante sarà verificare l'azione che vorrà portare avanti Teheran, la quale è sicuramente dietro ai tentativi di trasferire le armi verso le milizie scite Hezbollah. Dal canto suo Israele ha tutto l'interesse che la guerra siriana resti confinata dentro i limiti territoriali dello stato siriano e non si allarghi, prima di tutto verso Tel Aviv e poi verso il Libano e l'Iraq, a causa della massiccia presenza di popolazione scita. Questo pericolo è dato dall'evoluzione che ha preso il conflitto, che è partito come richiesta di maggiore democrazia, sulla scia delle primavere arabe e si è trasformato in confronto religioso tra le due maggiori anime dell'islamismo: sciti e sunniti. Israele non vorrebbe ai suoi confini l'ennesimo stato confessionale islamico ma non può permettersi di esprimere alcun giudizio pubblico sulle questioni arabe per non fare apparire ciò una intromissione in grado di scatenare le diplomazie del medioriente e dei paesi del Golfo. In questo scenario fortemente instabile, gli USA stanno perseguendo un piano di tipo diplomatico per certi versi audace. Washington mirerebbe ad una unione dei paesi sunniti, che potrebbe comprendere i paesi del Golfo Persico tradizionali alleati americani e la Turchia, in grado di portare al governo della Siria parti dell'opposizione più moderata, ma comunque avversa agli sciti, per togliere il paese dall'influenza iraniana, il che costituirebbe anche una salvaguardia per Israele ed il Libano. Si tratta di un progetto ambizioso che porterebbe Teheran verso un isolamento ben più efficace delle sanzioni dell'ONU ed una stabilità regionale favorevole agli USA. Per far ciò ed ottenere una pacificazione il più immediata possibile occorre però pensare ad evitare le vendette di tipo religioso che potrebbero innescarsi in Siria e che non consentirebbero quella pace necessaria alla sopravvivenza del progetto.

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