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mercoledì 22 maggio 2013

L'Iran alla vigilia delle elezioni

In un Iran alla vigilia delle elezioni si è delineata la griglia dei concorrenti che concorreranno alla carica di Presidente del paese. La difficile situazione economica iraniana, dovuta alla pressione delle sanzioni internazionali per la questione nucleare e la posizione della nazione sulla scena internazionale saranno gli argomenti cardine sui quali verterà il dibattito elettorale che condurrà alle elezioni del 14 giugno. Per ora i temi elettorali sono però meno centrali rispetto alla rosa dei candidati a cui sarà consentito partecipare alla competizione elettorale. L'esclusione di Akbar Hashemi Rafsanjani e Esfandiar Rahim Mashaie è attualmente l'elemento predominante del dibattito nel paese, che segna un grosso punto a favore dell'ala conservatrice del paese, tesa a mantenere lo status quo vigente in Iran. Già la situazione della parte riformista appare molto debole ed i quattro anni passati dalle proteste dalla rielezione di Ahmadinejad sono serviti ai settori più conservatori del paese, i veri detentori del potere, a fiaccare ancora di più i tentativi di fare emergere una alternativa progressista al vigente clima incentrato sulla teocrazia più esasperata. La situazione dei gruppi di opposizione è quella di una semi clandestinità, che li ha posti al margine del sistema politico ed amministrativo iraniano, isolandoli dalla società civile con operazioni di polizia. La cittadinanza è generalmente fiaccata dalla grave situazione economica ed il sentimento più diffuso è quello di una cupa rassegnazione. Nonostante questa situazione, sono stati ben due i candidati riformisti che si sono presentati alle elezioni, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, ma le loro denuncie relative alle frodi elettorali ne hanno determinato la condanna agli arresti domiciliari. L'esclusione di Rafsanjani, già presidente del paese nel periodo 1989-1997, è stata giustificata, anche se in modo velato, con l'età avanzata, in realtà i 78 anni del candidato escluso, sono soltanto una scusa che segnala quale è la reale volontà dei guardiani dell'ortodossia: l'Iran attuale, nell'insieme degli strati sociali, non è quel sistema monolitico che si vuole fare credere ed una possibile affermazione o, peggio, una sconfitta di misura di Rafsanjani, potrebbero riportare il paese verso proteste di piazza come quattro anni prima. Occorre ricordare che Rafsanjani non è un vero e proprio riformista, tuttavia il suo indirizzo potenziale è interpretato dal Consiglio dei Guardiani, verso un pragmatismo che potrebbe portare ad aperture significative nella vita dello stato, come era accaduto negli anni novanta del secolo scorso. Per Mashaei grande alleato del presidente uscente, invece si tratta di una bocciatura rivolta ad Ahmadinejad, che non può ripresentarsi per legge dopo il secondo mandato consecutivo, del quale è un uomo di fiducia. Le élites dominanti del paese non hanno gradito l'impostazione conservatrice ma populista del presidente uscente, che ha alterato la supposta purezza dello stato fondato su base religiosa. Entrambi gli esclusi rappresentavano un elemento di timore per gli ultraconservatori che hanno inteso preservare il paese da ogni più piccolo segno di rinnovamento, questa esclusione, avvenuta ai danni di due personalità tutt'altro che riformiste in senso assoluto, ma che potevano apportare qualche variazione in questa direzione in senso relativo, dimostra come gli ambienti ortodossi del regime temano qualunque cambiamento, anche il più piccolo, per la paura che questo possa provocare lo smottamento del castello di argilla su cui poggia l'impianto dello stato iraniano. La necessità di porre confini sempre più stretti al mantenimento dell'ordine costituito, ed anzi di aumentarlo, segnala la grande preoccupazione dei ceti dominanti della necessità di precludere ogni possibile possibilità di variazione dello status quo, perchè ciò potrebbe provocare immediatamente forme di degenerazione, per la visione dominante, del sistema verso la costruzione di istituzioni di segno completamente opposto. A dimostrazione di ciò è sufficiente osservare gli otto candidati alla carica presidenziale a cui è stato permesso di concorrere, tra di loro figurano Saeed Jalili, il capo negoziatore della questione nucleare, Mohammad Qalibaf, sindaco di Teheran, Gholam-Ali Haddad-Adel, ex speaker del parlamento iraniano, Ali Akbar Velayati, già ministro degli esteri, Mohsen Rezai, ex capo dei Pasdaran. Questi personaggi sono tutti conservatori dichiarati e di sicura fedeltà per la Guida suprema Ali Khamenei. Gli altri tre candidati sono personaggi oscuri senza alcuna possibilità di vittoria per mancanza manifesta del sostegno popolare necessario e sono stati inseriti per dare alla competizione elettorale una parvenza di pluralità essendo anziani membri dell'era riformista di Khatami: l'ex capo negoziatore nucleare Hasan Ruhani, l'ex vice presidente delle telecomunicazioni Mohammad Reza Aref e l'ex ministro Mohammad Gharazi. In realtà i voti riformisti potrebbero concentrarsi su Mohammad Reza Aref, che aveva annunciato il ritiro della candidatura se fosse stata consentita la partecipazione di Rafsanjani, ma si tratta di un candidato ritenuto troppo debole per puntare ad una affermazione e ciò conferma l'impressione che il suo inserimento sia stato dettato da una volontà di presentare una griglia di candidature dove non si potesse contestare la mancanza della rappresentanza di tutti gli indirizzi politici, almeno a grandi linee. Quindi quello che si delinea per l'Iran è ancora un futuro dove l'affermazione del conservatorismo teocratico è visto come la continuazione delle posizioni che hanno segnato la storia recente del paese, un paese chiuso verso l'esterno ed arrocato nella difesa di una visione troppo basata sull'aspetto religioso visto come elemento regolatore della vita comune della nazione e distintivo nella politica internazionale, capace di esaltare all'eccesso l'importanza di considerarsi, ed essere, la nazione capofila degli sciti nel mondo.

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