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lunedì 27 maggio 2013

Questione palestinese: senza una volontà politica non bastano gli investimenti USA

La strategia americana sull'infinito problema israelo-palestinese si fa più ambiziosa, anche grazie ai 4.000 milioni di dollari, che l'amministrazione USA ha deciso di investire per rilanciare l'economia della Palestina. Tuttavia i dubbi sulla riuscita dell'azione di Kerry restano tutti: i fallimenti ottenuti da predecessori con maggiore esperienza e prestigio non incoraggiano le speranze di vedere raggiunta la pacificazione tanto desiderata. L'attuale programma statunitense parte dalla base di abbattere la disoccupazione nei territori della Cisgiordania, che attualmente si aggira intorno al 21%, per arrivare al valore dell'8%, portando, in parallelo, un aumento del salario medio di circa il 40%. I settori al centro degli investimenti saranno quelli dell'immobiliare e del turismo ed il piano finanziario ha senz'altro incontrato i favori di Abu Mazen, che ha giudicato l'azione di Kerry come quella più importante dagli accordi di Oslo. Si tratta di un progetto ambizioso, che potrebbe nascondere l'intenzione di coprire un fallimento politico, che le analisi danno quasi per scontato. Le posizioni palestinesi, malgrado gli apprezzamenti del leader Mazen, infatti, non sembrano recedere dalla formula definitiva dei due stati e sono fortemente contrarie ad opzioni che riguardino la possibilità di accordi temporanei o, peggio, di confini ben definiti, Queste possibilità, al contrario, hanno sempre contraddistinto la tattica politica portata avanti da Netanyahu, sia per la profonda convinzione personale di procrastinare il più in la possibile l'effettiva creazione dello stato palestinese, sia per gli assetti interni usciti dalle ultime consultazioni elettorali, dove il partito dei coloni è risultato fondamentale per la vita dell'esecutivo. Malgrado queste premesse Kerry insiste che la soluzione politica della questione è una priorità degli USA e che non vi è alternativa alla soluzione dei due stati, ma il Segretario statunitense dice anche, quasi mettendo le mani avanti, che il piano finanziario non è assolutamente alternativo alla definizione politica, segnale che manifesta come il timore di un possibile fraintendimento palestinese, possa fare fallire le complicate manovre diplomatiche. Le dichiarazioni di Kerry, restano comunque troppo vaghe, perchè non vi è una chiara presa di posizione e di contrasto sulla questione degli insediamenti, che, al momento, sono l'ostacolo maggiore che blocca le trattative; senza questo passo la diffidenza palestinese non può essere comprata neppure da un piano di massicci investimenti come quelli messi in campo da Kerry. Anche le esortazioni di Peres verso Mazen a sedersi al tavolo del negoziato con Netanyahu, sono troppo nebulose, perchè si richiamano in maniera troppo generica ad un reciproco parternariato naturale, che si fonda sulla generica ricerca della pace. Quello che manca, sia da parte statunitense, che israeliana, è una definizione precisa dell'accettazione di niente di più di quanto raggiunto ad Oslo, con un fermo rispetto della divisione territoriale, più volte infranta dai governi presieduti da Netanyahu. Ed proprio questo il punto debole individuato dall'Autorità palestinese nei tentativi del processo di pace: l'espansione strategica degli insediamenti, le confische troppo frequenti dei terreni agli arabi e la ricerca continua di alterare l'identità di Gerusalemme, rappresentano motivi troppo forti di ostilità nelle giovani generazioni palestinesi, che hanno smesso di credere alla possibilità della soluzione dei due stati. Ciò rappresenta un pericolo enorme in una situazione internazionale come quella attuale, perchè espone Israele all'enorme pericolo di avere in casa una massa di potenziali terroristi di grande dimensione, facile preda della propaganda delle organizzazioni estremiste islamiche, capace di riaprire in modo considerevole il fronte interno, anche grazie al mancato controllo, causa perdita di influenza, da parte dell'ANP. In questo quadro la tattica americana di fornire un maggiore benessere economico ai palestinesi, può essere soltanto una parte del mezzo per risolvere il problema generale, che rimane essenzialmente politico: senza una diversa predisposizione israeliana, da trovare sopratutto grazie alla pressione USA su Tel Aviv, perchè si avveri la soluzione dei due stati sovrani.

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