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martedì 14 maggio 2013

Siria: le incertezze occidentali di fronte alla crisi

Gli USA, la Gran Bretagna e la UE, continuano le loro riflessioni sugli sviluppi della guerra siriana e sulle strategie da adottare, in special modo sulla questione degli aiuti in armi per i ribelli alla dittatura di Assad. L'asse tra Obama e Cameron è intenzionato ad intensificare la pressione su Damasco, ma permane la diffidenza verso una opposizione molto divisa e dove sono presenti numerosi movimenti settari, che, una volta al potere, potrebbero proseguire la guerra civile su base religiosa. I paesi occidentali pensano per il futuro della Siria, un paese ancora unito territorialmente, dove le divisioni religiose sono superate da un contesto di piena democrazia. Per fare ciò si penserebbe ad un aiuto selettivo, con la fornitura degli armamenti esclusivamente a quei gruppi che non si riconoscono nell'estremismo religioso e settario. Questo indirizzo, se logicamente corretto in teoria, si presenta molto difficoltoso da attuare in pratica, sia per la commistione profonda tra le formazioni ribelli, che comprendono quasi tutte esponenti che si rifanno alla religione, seppure con connotazioni più sfumate, sia perchè i gruppi più oltranzisti di matrice sunnita sono comunque ampiamente aiutati dalle monarchie del Golfo Persico, che sono anche alleati molto stretti degli Stati Uniti. Questa visione dei paesi occidentali, che resta bloccata sul possibile, ma meno probabile, sviluppo dell'insediamento di una democrazia in Siria, rivela che dai tempi delle primavere arabe l'atteggiamento occidentale non è cambiato e persevera negli stessi errori e nella stessa convinzione, che si è rivelata poi errata. Se, per ovvie ragioni di geopolitica e strategia, le nazioni occidentali preferiscono l'insediamento di una forma di stato di democrazia compiuta e non un regime confessionale al posto di una dittatura sostanzialmente laica, questo desiderio sembra destinato a rimanere tale in uno scenario dove l'elemento religioso appare ancora quello preponderante. Dall'analisi delle forze in campo e dello sviluppo della situazione appare chiaro che per l'occidente sarà una vittoria se che uscirà vincitore dalla contesa sarà una forza dove la caratterizzazione religiosa sarà moderata. Altrettanto importante sarà che alla fine del conflitto il paese siriano non si divida in micro stati, potenzialmente in conflitto tra loro, fattore che potrebbe portare una instabilità molto forte nell'area regionale e neppure che la forza dominante abbia nelle sue intenzioni la continuazione della guerra civile su base religiosa per eseguire una sorta di pulizia etnica in base al credo professato. Tutti questi elementi di grande incertezza contribuiscono ai tentennamenti ed alla indecisione, principalmente degli USA, ma anche di tutte le potenze occidentali, che non riescono a trovare una direzione chiara ed univoca di fronte al dilemma degli aiuti agli oppositori di Assad. Nonostante l'alleanza con i paesi del Golfo sia ben salda, la politica americana appare spiazzata dall'attivismo delle monarchie sunnite, con le quali, evidentemente, non riesce a trovare una sintesi ed un coordinamento, tuttavia la strada del dialogo e dell'intesa con l'Arabia Saudita, l'Oman e gli Emirati Arabi Uniti, appare l'unica via possibile per cercare di attenuare la presenza nel mondo arabo di un nuovo stato con orientamento profondamente religioso. Nel ventaglio delle ipotesi di intervento rimangono sempre anche misure più drastiche, anche se queste sembrano allontanarsi sempre di più dalla reale possibilità che accadano, per gli ovvi timori delle reazioni che sicuramente susciterebbero nelle opinioni pubbliche e nelle relazioni con stati, come la Russia, che appoggiano il regime di Damasco. Tutto l'insieme di questi fattori contribuiscono a rinviare la soluzione per la crisi siriana che appare sempre di più infilata in una via senza uscita.

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