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mercoledì 12 giugno 2013

Turchia: gli sviluppi della crisi

Erdogan, accusando presunte infiltrazioni straniere nella vicenda delle proteste partite dal parco di Istanbul, da prova di scarsa flessibilità politica, mantenendo un atteggiamento di eccessiva rigidità, che sembra ricalcare le vicende di personalità politiche tutt’altro ascrivibili al terreno della democrazia. Quello di attaccare occulte trame straniere è uno schema ben definito che ha il solo obiettivo di non riconoscere e, soprattutto , sapere affrontare il dissenso interno. Questa volta nel mirino sono finiti, in special modo i media stranieri, colpevoli in toto, di non riconoscere altre ragioni se non quelle dei dimostranti e facendo risultare il premier turco alla stregua di un antidemocratico. In realtà ciò è stato dovuto alla sproporzione iniziale del contenimento della protesta da parte delle forze di polizia turche, stigmatizzate anche da personalità vicine al partito di Erdogan. In realtà la causa delle proteste, la demolizione del parco al centro di Istanbul, è stata solo la scintilla che ha fatto deflagrare una situazione sociale molto pesante già di per se. I provvedimenti illiberali adottati dal governo turco, che vanno in una direzione tesa a cancellare la laicità dello stato a beneficio di una maggiore influenza della religione islamica nelle leggi e nei regolamenti dello stato, hanno provocato un grado di insoddisfazione molto diffuso, che il benessere economico presente nel paese non è bastato a sopire. Probabilmente ad Ankara si attendevano che la crescita economica potesse nascondere e fare accettare la virata confessionale dello stato, funzionale ad un rapporto migliore con i partner economici con i quali la Turchia intrattiene le relazioni commerciali più vantaggiose. Non a caso, nel suo ultimo discorso, Erdogan ha ammonito che gli interessi economici del paese sono a forte rischio, proprio a causa delle proteste che attraversano la nazione. Non si comprende bene se questa tesi del premier di Ankara, sia una reale paura o il tentativo di fare cessare le proteste per preservare una crescita economica che ha messo la Turchia in forte evidenza anche nel terreno geopolitico e diplomatico, fino a diventare un modello per gli stati arabi. Quello che sembra più evidente, però, è che vi sia una larga fetta della società turca più pronta ad entrare in Europa rispetto ai propri stessi dirigenti, che con l’attuale comportamento spostano la collocazione geopolitica della Turchia sempre più ad oriente e, soprattutto, molto più lontano dal vecchio continente. Erdogan teme questa analisi, che sta prendendo sempre più consistenza nelle cancellerie occidentali ed infatti ha sottolineato come le proteste non devono essere inquadrate come una lotta per i diritti democratici. Questa affermazione, se vista in relazione allo sviluppo della situazione, dimostra, però, come sia vero il contrario, anche per i metodi adottati per risolvere il problema, completamente opposti ad una risoluzione improntata al dialogo, caldeggiata anche da parti molto vicine alla formazione di governo. Ora il problema reale è comprendere come potrebbe evolversi la situazione, anche in virtù del fatto che l’eccessiva concentrazione di potere nelle mani del partito di maggioranza, dovuta alla frammentazione dell’opposizione, non individua un interlocutore in grado di emergere dal magma dei movimenti di protesta, che abbia una influenza tale da riassumere tutte le variegate formazioni in campo. Questo è il vero nocciolo del problema che potrebbe causare evoluzioni pericolose della vicenda, a cui deve aggiungersi un soggetto che per ora è rimasto ai margini: l’esercito. Le forze armate turche, reduci da un processo di inclusione dello stato che sembra avere avuto successo, hanno perso la loro connotazione autoritaria, ma rimangono caratterizzate da un forte laicismo, che non può vedere di buon grado le trasformazioni in senso confessionale che Erdogan cerca di imporre. Se settori importanti delle forze armate decidessero di schierarsi con i manifestanti, per il paese ci potrebbe essere il rischio di una degenerazione totale.

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