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giovedì 25 luglio 2013

Egitto sempre più in crisi

I due campi politici contrapposti si preparano entrambi a manifestare nelle strade egiziane. Quello che sta per arrivare sarà un fine settimana cruciale per l’Egitto in quanto i capi delle due parti hanno chiamato a raccolta i rispettivi sostenitori per fornire un chiaro sostegno alla propria parte politica. Malgrado gli appelli a sfilare pacificamente, risulta facile fare la previsione che i raduni di piazza non resteranno senza conseguenze. Da una parte vi sono i Fratelli Musulmani, che rivendicano il loro diritto a governare, ottenuto grazie al risultato elettorale, dall’altra parte l’esercito ed i rappresentanti dei partiti e movimenti laici, che accusano i partiti confessionali di avere stravolto la rivoluzione che ha rovesciato Mubarak per avere concentrato tutto il potere nelle loro mani, senza tenere conto delle esigenze delle minoranze. Se si guarda alla distribuzione della forza, il confronto è impari, con le forze armate schierate a sostegno del governo in carica e quindi contro gli islamisti, ma questo punto di forza può anche diventare un notevole lato debole, se l’esercito sceglie di abusarne. Gli occhi della platea internazionale sono proprio puntati su come i militari riusciranno a gestire la difficile situazione, interpretando il doppio e scomodo ruolo di controllore e parte in causa. La posizione dei partiti islamici per il momento sembra irremovibile, più volte i suoi esponenti sono stati chiamati a fare parte del governo transitorio ma Mursi ha rifiutato ogni compromesso, inoltre i Fratelli Musulmani hanno annunciato il loro ritiro dai negoziati di transizione organizzati dal presidente ad interim. La situazione generale del paese è così bloccata in uno stallo che pare senza via di uscita. Se l’esercito non può e non vuole tornare indietro ad una situazione dove l’elemento religioso era preponderante, gli islamici, che avevano raggiunto il potere con mezzi pacifici, sono sempre più arroccati nella loro posizione anche a causa dell’ondata di arresti che ha decapitato il movimento, in più l’appello dell’uomo forte del governo, il generale Abdel Fattah al-Sisi, che ricopre il ruolo di Ministro della difesa, per avere il mandato da tutti gli egiziani onesti per mettere fine alla violenza ed al terrorismo, ha ancora di più esasperato gli animi della parte confessionale. Questo appello è stato interpretato come una vera e propria chiamata alla guerra civile, che, per la verità, pare già iniziata, anche se fino ad ora su scala ridotta. La situazione è comunque insostenibile senza un accordo tra le due parti, per l’esercito governare con la forza è praticabile soltanto per un tempo limitato mentre per i partiti islamici tornare al potere non è più possibile per la situazione che loro stessi hanno creato abusando del potere ricevuto dal popolo. Secondo stime di alcuni analisti il gradimento dei partiti islamici sarebbe calato, anche per la loro incapacità a gestire la difficile situazione economica, preoccupati solamente di rendere più conforme ai precetti religiosi la società egiziana. Fallito ogni tentativo di conciliazione dal nuovo governo, non resta altra soluzione che quella di accelerare la competizione elettorale sotto la supervisione di organismi internazionali, tuttavia questo rimedio non consente la pacificazione immediata di cui avrebbe bisogno il paese. Se le prossime manifestazioni dovessero svolgersi senza violenze sarebbe un buon punto di partenza per cercare una strada del dialogo, viceversa il destino dell’Egitto resta avvolto in un grande punto interrogativo.

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