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mercoledì 17 luglio 2013
In Egitto si insedia il nuovo governo in una situazione sempre difficile
Il nuovo governo insediatosi in Egitto si contraddistingue per la sua composizione, che comprende liberali e tecnici, fornendo una connotazione certamente più laica. La presenza, come vice primo ministro del generale Abdel Fattah al-Sisi, che ricopre anche la carica di ministro della difesa, sottolinea la grande importanza dei militari nell’esecutivo guidato dall’economista Hazem Beblawi . Il nuovo governo annovera tre donne e tre copti, che rappresentano un elemento di profonda rottura con l’impostazione del precedente governo, soprattutto la presenza degli esponenti della comunità cristiana, molto ostile a Mursi, costituisce un segnale di cambiamento, quasi avverso, molto forte ai partiti islamici. Nonostante questa impostazione sia ai Fratelli Musulmani che al movimento salafita Al-Nour erano stati proposti alcuni ministeri, nel tentativo di raggiungere una conciliazione nazionale, che potesse permettere una transizione maggiormente pacifica della situazione seguita al colpo di stato. Il rifiuto dei movimenti islamisti, ha però contribuito a peggiorare una situazione già molto grave. I motivi della mancata partecipazione al nuovo esecutivo coincidono con il mancato riconoscimento dello stesso: perché viene ritenuto illegittimo e frutto di un colpo di stato militare e soprattutto perché messo al posto di un governo legittimamente eletto. Con l’accusa di illegittimità del governo viene anche a mancare anche il riconoscimento della sua autorità, situazione che crea una sorta di legittimazione alla volontà di combattere l’esecutivo con ogni mezzo, anche violento. I sostenitori di Mursi si sono resi così protagonisti di manifestazioni, che sono sfociate in scontri con l’esercito, che hanno causato diverse vittime ed una ondata di arresti. I più accaniti sostenitori del deposto presidente stanno occupando ad Il Cairo, la Moschea di Rabia al-Adawiya, rifiutandosi di abbandonare il luogo finché Mursi non riprenderà il posto di capo dello stato. Frattanto freme l’attività diplomatica, con appelli al paese egiziano affinchè cessino le violenze e riprenda il dialogo tra le parti, posizione sostenuta da Washington, senza troppo successo. Gli USA restano invisi sia alle forze laiche che a quelle confessionali, la prime addebitano agli statunitensi di avere dato il loro sostegno ai Fratelli Musulmani e quindi al terrorismo, durante la fase seguente alle elezioni che ha portato al potere Mursi. L’appoggio americano è stato vissuto come un tradimento alla lotta contro la dittatura di Mubarak, sostituito con una forma dittatoriale alternativa ma analoga, questa visione ha prodotto degli autentici sentimenti anti americani perché Washington è stata troppo precipitosa a riconoscere il governo musulmano, senza essere poi capace di tornare sui suoi passi una volta verificato che i metodi di governo non rispondevano alla richiesta di democrazia del popolo egiziano. Per contro i partiti ed i movimenti confessionali imputano agli USA una alleanza con le forze armate che hanno rovesciato il governo uscito vincitore dalle elezioni, esasperando la visione negativa tradizionalmente presente nella concezione degli islamisti più radicali. Entrambi gli schieramenti hanno così rifiutato di incontrare l’assistente del Segretario di stato USA, inviato in Egitto. Ancora una volta la politica estera americana è apparsa ondivaga ed estremamente indecisa sulla direzione da prendere, mostrando una passività ed un attendismo, che alla fine ha prodotto soltanto effetti negativi. Sarà altrettanto interessante vedere come sarà accolto il capo della diplomazia della UE, Catherine Ashton, prossimamente in visita in Egitto; ma, date le premesse di ciò che è stato riservato agli Stati Uniti, non è azzardato prevedere una accoglienza analoga.
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