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giovedì 11 luglio 2013
In Marocco in crisi il governo islamista
Una nuova situazione difficile potrebbe verificarsi nel mondo arabo e nella sponda meridionale del Mediterraneo. Le dimissioni dei ministri del governo del Marocco, appartenenti al Partito Istiqlal, alleato del Partito Islamico della giustizia e dello sviluppo, di tendenza confessionale, aprono una crisi istituzionale, che, potenzialmente, può sfociare in una situazione di forte incertezza per il paese. Queste dimissioni, che riguardano ben cinque dei sei dicasteri assegnati al Partito Istiqlal, creano un doppio problema: il primo è proprio all’interno del partito dove sarebbero presenti profondi dissidi, tanto che è stata minacciata l’espulsione per i ministri dimissionari, il secondo è che nell’assetto istituzionale attuale, un eventuale rimpasto potrebbe non essere sufficiente perché per la formazione di maggioranza, il Partito Islamico della giustizia e dello sviluppo, sarebbe impossibile trovare un alleato di uguale peso politico. Anche l’eventualità di elezioni anticipate non pare possa alterare gli equilibri esistenti. Lo scontro tra le due formazioni non costituisce, comunque, una novità, e verte principalmente sulla gravità delle condizioni economiche e sociali in cui versa il paese. La decisione di deregolamentare i prezzi di alcune materie prime, dovuta alla pressione del Fondo Monetario Internazionale, rischia di peggiorare la situazione della parte più povera del popolo marocchino. I partiti di opposizione lamentano un preoccupante immobilismo del governo sui temi economici, preoccupazione condivisa dal Re, Mohammed VI, che teme effetti devastanti sulla pace sociale in seguito ai possibili tagli drastici del bilancio, che andranno, inevitabilmente, ad incidere sul tenore di vita della popolazione. Questo scenario presenta preoccupanti analogie con quanto avvenuto nel 2011, in occasione della fase della primavera araba vissuta dal Marocco, che non ebbe gli effetti devastanti accaduti in altri paesi, anche grazie alle riforme costituzionali avviate dall’azione della monarchia. Alla base delle proteste vi erano sempre ragioni economiche, legate al basso tenore di vita della popolazione, che ora rischiano di ripresentarsi forse ancora peggiorate dalla congiuntura mondiale. Quello delle motivazioni economiche resta un tema ricorrente e sempre più alla ribalta nelle dimostrazioni che stanno avvenendo nei paesi arabi, ma che non godono del giusto rilievo da parte degli analisti, i quali preferiscono concentrarsi sugli aspetti, certamente altrettanto fondamentali, dei diritti politici e sociali. L’errore di fondo è di scindere questi aspetti che, invece, hanno una contiguità inscindibile. La presa di coscienza da parte dei popoli dei loro diritti riguarda, prima di tutto il soddisfacimento delle esigenze primarie, che tuttavia, non sono più parte esclusiva delle aspettative, ma sono sempre più integrate da esigenze accessorie ormai ritenute alla stregua dei bisogni essenziali. Soltanto una analisi completa delle richieste delle popolazioni può chiarire i meccanismi delle ribellioni ed anche dei risultati elettorali, che appaiono agli occhi occidentali spesso contrastanti con le stesse richieste di partenza. La situazione del Marocco, dove l’azione della Monarchia è riuscita finora a mitigare lo scenario, scongiurando una degenerazione grave come avvenuto in alti stati, non sfugge a questa logica. Ma è singolare che istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, non esercitino la loro funzione con una maggiore flessibilità, imponendo misure che vanno a gravare sulla parte maggiore e più povera della popolazione, quella più sensibile a scendere in piazza, e quindi non contribuendo ad una logica di lungo periodo. L’applicazione ferrea legata ai soli dati economici rischia così di produrre violenze ed instabilità in situazioni che avrebbero bisogno di maggiore comprensione.
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