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mercoledì 31 luglio 2013
L'Egitto non è bipolare
Mentre Catherine Asthon, su mandato della UE, ha incontrato il deposto presidente Mursi nel luogo segreto in cui è custodito dall’esercito, la situazione egiziana sta vivendo un momento di equilibrio precario. Il rifiuto, che Mursi avrebbe ripetuto anche alla rappresentante dell’Unione Europea, di dare il via libera ad una partecipazione dei Fratelli Musulmani ad un governo di unità nazionale, non cambia una situazione che vede sempre i militari in difesa dello stato laico, sempre contrapposti alle forze confessionali, impegnate in una lotta di logoramento. Si è venuta così a creare una situazione senza apparente via di uscita, che l’esercito non può mantenere a lungo perché sottoposto alla pressione internazionale, ma dove anche l’ostinazione degli islamisti appare impraticabile sulla lunga distanza per problemi organizzativi e logistici. Questo scenario, dove l’opzione guerra civile resta all’orizzonte, ma che non conviene a nessuna delle due parti, delinea agli occhi degli osservatori una situazione di contrapposizione di due forze che sembrano avere monopolizzato il panorama nazionale in una sorta di divisione bipolare. In realtà nel tessuto sociale egiziano esiste una possibile terza via, certamente minoritaria, ma che non dovrebbe essere sottovalutata in una ottica di risoluzione dei contrasti tra le due forze maggiori. L’avversione sia al regime di impronta militare, seppure laicista, sia all’impostazione confessionale, che ha tralasciato il governo dei bisogni del paese per islamizzare l’Egitto, sta facendo sempre più proseliti. Al centro delle loro attenzioni e delle loro richieste ad una classe politica assente, vi sono il miglioramento delle condizioni economiche di una nazione dove il 5% detiene la maggior parte della ricchezza nazionale, mentre la gran parte della popolazione è ridotta sotto il livello di povertà. Ma migliorare soltanto le condizioni economiche e ridurre così le profonde ineguaglianze sociali non è ritenuto sufficiente, senza aumentare la fruizione dei diritti politici e sociali, che non è cambiata dalla caduta di Mubarak, ne con i Fratelli Musulmani, ne con la giunta militare. L’Egitto è ancora un paese dove la stampa non è libera, dove agiscono gruppi paramilitari e la corruzione è diffusa. A coordinare questi bisogni sono principalmente il Movimento giovanile 6 Aprile ed i Socialisti rivoluzionari. L’impronta politica è evidente perché i metodi di lotta sono gli scioperi e le proteste nelle strade contro entrambi gli schieramenti di cui rifiutano l’impostazione assolutista delle alte sfere dell’esercito, spesso compromesse con il regime di Mubarak di cui conservano le dinamiche, ma non i militari in quanto tali ed il processo di islamizzazione delle istituzioni tentato dai Fratelli Musulmani e dai loro alleati i salafiti, che hanno tradito il mandato elettorale di portare il paese fuori dalla recessione ed aprirlo al mondo tramite la diffusione dei diritti. L’esperienza maturata nelle dimostrazioni contro Mubarak, nel 2010, ha dato a questo movimento una certa capacità di azione, limitata soltanto dall’esiguità delle forze a disposizione se confrontate con quelle delle due maggiori compagini. Il rischio è quello di venire schiacciati da un confronto, che per il momento appare essenzialmente dualistico, tuttavia, interpretando un copione meno rigido ,questo movimento può ritagliarsi all’interno della contesa uno spazio strategico di mediazione per fare dialogare militari ed islamisti. Trai due l’affinità con i secondi appare molto più difficile per le profonde differenze sui rispettivi obiettivi, mentre con i militari un dialogo su riforme economiche potrebbe aprire canali di comunicazione rilevanti. Resta da vedere se nella leadership di questi movimenti alternativi vi sono personalità capaci di affrontare e gestire situazioni in maniera pragmatiche che sappia andare aldilà delle pure rivendicazioni politiche di appartenenza. Se queste capacità sono presenti e sapranno emergere, allora il ruolo di queste terze forze potrà essere tutt’altro che marginale.
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