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giovedì 4 luglio 2013

Lo scenario egiziano dopo l'intervento militare

Dopo la destituzione del Presidente Mursi da parte dell’esercito, si apre una fase di incognite per il paese egiziano, che resta profondamente diviso al suo interno, tra tendenze confessionali ed istanze sociali verso una società più improntata ai diritti e meno influenzata dalla religione. Se è vero che nelle piazze delle città egiziane si sono riversati molti manifestanti, fortemente motivati affinché la nazione abbracci una via maggiormente democratica, intesa come rispetto delle minoranze e del godimento dei diritti civili e politici, è, altresì vero, che nel paese esiste una grande massa silenziosa che nelle ultime elezioni ha quasi rovesciato il pronostico eleggendo Mursi in modo legittimo. Le modalità dell’azione di governo, fortemente influenzate dagli indirizzi dettati dal movimento dei Fratelli Musulmani hanno poi stravolto le istanze della primavera araba egiziana, provocando defezioni importanti anche nella parte che aveva eletto il presidente appena deposto. Ma l’esito di nuove elezioni resta fortemente in bilico se resta in vigore questo scenario politico. Il ruolo fondamentale dell’esercito si è di nuovo concretizzato diventando fattore di stabilizzazione di una situazione sull’orlo della degenerazione profonda; non è chiaro ancora quale peso vogliano avere le forze armate, non tanto nella fase di transizione, dove si sono nominati garanti del passaggio istituzionale, quanto in quella successiva, qualsiasi sarà il risultato delle prossime elezioni. In realtà una forma di influenza preventiva l’esercito la sta già praticando, arrestando gli esponenti dei Fratelli Musulmani e dei membri del Partito della libertà e della Giustizia, loro alleato al governo decaduto. Con questa manovra si concretizza l’intenzione di limitare l’azione dei movimenti confessionali più estremisti per favorire uno sviluppo più laico della vita politica egiziana prossima ventura. Questo risultato rappresenta il logico epilogo all’interno di uno scenario nazionale dove l’organizzazione che ha il monopolio della forza è rimasta profondamente laica insieme a gran parte del paese e non ha visto tutelata proprio questa peculiarità da un governo, che seppure a maggioranza confessionale, non ha saputo trovare una sintesi sugli interessi generali del paese mediando tra le istanze religiose e quelle non religiose. Ora, però, il rischio concreto è che una gestione non equilibrata della situazione porti vantaggio a quelle formazioni messe fuorigioco, che possono, in parte giustamente, appellarsi alla popolazione contro quello che ha tutte le sembianze di un colpo di stato. L’intervento militare infatti, pur scongiurando una deriva nazionale, ed in questo esercitando un ruolo legittimo all’interno del paese, ha pur sempre destituito un capo di stato eletto democraticamente, anche se si può affermare che l’azione di governo di Mursi ha tradito l’universalità degli interessi del paese, favorendo in maniera abnorme soltanto la parte vincitrice. Su questi temi, del resto si gioca il futuro del paese: riuscire a trovare una sintesi capace di dare un equilibrio sereno alle tendenze in campo. Il ragionamento dei militari è quello di limitare l’ala estrema dei movimenti confessionali, ma la cosa non è agevole, perché l’organizzazione capillare dei Fratelli Musulmani è profondamente radicata nella società egiziana ed una messa fuori legge, come ai tempi di Mubarak, del movimento rischia di fomentare il gran numero di sostenitori, che, a loro volta, potrebbero scendere in piazza provocando un ulteriore attentato all’equilibrio del paese. Resta il fatto che in questo momento gli animi sono troppo esasperati da una parte e dall’altra per trovare immediatamente una intesa che possa superare le profonde divisioni e diffidenze. La bravura dei militari sarà quella di fare sedimentare i contrasti nel più breve tempo possibile in maniera da velocizzare la transizione. L’occidente, frattanto, dovrà guardare all’evoluzione egiziana con meno illusioni ed in maniera più obiettiva, senza aspettarsi, cioè di trovare il giorno dopo le prossime elezioni, quando potranno svolgersi, un paese sulla falsariga delle democrazie mature, ma una nazione ancora ricca di profondi contrasti superabili soltanto con il tempo e l’abitudine alle nuove forme di vita politica, semmai saranno raggiunte. Anche perché il tutto si svolge in una situazione economica fortemente precaria, contraddistinta da una profonda incertezza e con un dati relativi alla disoccupazione molto allarmanti. In questo senso, per favorire quella transizione democratica tanto attesa, anche per l’importanza strategica dell’Egitto sul delicato scacchiere mediorientale, sarebbe auspicabile un sostanzioso sostegno all’economia del paese, che si potrebbe rivelare uno strumento molto forte di normalizzazione.

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