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martedì 9 luglio 2013

Peggiora la situazione politica egiziana

L’Egitto è sempre più diviso e le profonde differenze tra la parte laica e quella islamica della società, si acuiscono sempre di più per l’irrigidimento progressivo delle rispettive posizioni. Se nella fase precedente all’azione dell’esercito, che ha deposto il presidente Mursi, le piazze erano ad appannaggio dei dimostranti laici, ora a manifestare sono i sostenitori della parte confessionale, vicini ai partiti messi fuori legge dall’intervento delle forze armate. La situazione dimostra che le speranze per una risoluzione concordata della crisi si sono molto allontanate e rischiano di trascinare il paese in una situazione molto vicina alla guerra civile. Tuttavia le minacce degli islamisti di trasformare la situazione in una intifada egiziana, che potrebbe sfociare in una ripetizione dello scenario siriano appaiono quantomeno esagerate. La potenza e la struttura dell’esercito egiziano, infatti, consentono un controllo maggiore del territorio e l’appoggio di una parte consistente della popolazione dovrebbe scongiurare una deriva interna, che a Damasco si è verificata per il massiccio appoggio dei ceti popolari. Questo non significa che il controllo totale della situazione potrà avvenire in tempi brevi e senza notevoli difficoltà. Gli oppositori della soluzione militare chiedono una rivolta generale contro quello che viene identificato come un colpo di stato, che inficia la legittimità del nuovo esecutivo, non scaturito dalle urne. Se si può individuare aspetti di legittimità in questo ragionamento, occorre, però, ricordare le responsabilità oggettive di Mursi, a cui devono essere ascritte le ragioni dello stato di cose attuali. Non avere tenuto conto delle minoranze politiche ed avere aderito in maniera totale alle richieste dei partiti islamici, specialmente nell’occasione della elaborazione e promulgazione della nuova costituzione, senza minimamente considerare le istanze che provenivano dalla parte opposta del tessuto sociale, ha rappresentato una violenza politica, che ne ha delegittimato il risultato elettorale, proprio perché la massima carica dello stato non è stata più rappresentante di tutte le parti del paese. Questa caratteristica dell’esercizio del potere da parte di Mursi e dei partiti che lo sostenevano ha esasperato una profonda delusione di quanti avevano rischiato, anche in prima persona, durante la ribellione contro Mubarak, scontentando quanti, tra cui le stesse forze armate, propendevano per una transizione verso una applicazione più completa delle regole democratiche. Vista in questa ottica, l’azione regolatrice dell’esercito, perde molto delle caratteristiche di colpo si stato imputate proprio da quelle forze politiche che avevano ridotto il responso delle urne a loro esclusivo vantaggio, portando avanti l’idea di fare convergere nelle istituzioni statali gli elementi giuridici dell’islamismo. Del resto anche il calcolo politico di avere delimitato l’esercito egiziano entro vincoli rigidi è stato sempre individuato dagli analisti internazionali come un esempio di miopia politica, che non poteva avere conseguenze da parte di una parte sociale laica così importante nell’economia dello scenario sociale e politico del paese. Per evitare quello che sta accadendo il governo provvisorio ha cercato da subito di includere almeno parti dei movimenti islamici nel processo di transizione, anche affermando che la sharia rimane alla base dei fondamenti giuridici, ma ciò non è bastato per calmare la situazione, giacché troppo grande è la rabbia degli islamisti per quello che loro ritengono un grande sopruso. La data prevista per le elezioni legislative è intorno all’inizio del 2014 a cui seguiranno le elezioni presidenziali. Gli scenari che si aprono sul futuro dell’Egitto contemplano una gamma di possibilità che potrebbero creare la ripetizione di quanto sta accadendo in questi giorni: occorrerà verificare la disponibilità di partecipare alla competizione elettorale da parte dei partiti islamici, sia dal punto di vista della propria volontà, che nei limiti imposti dai militari: una assenza alle urne determinerebbe una situazione di clandestinità che sarebbe un pericolo costante per la stabilità dello stato perché potrebbe sfociare nel terrorismo, non per niente viene fatto di tutto per cercare di dare luogo ad un processo inclusivo che comprenda il più grande numero di forze politiche. Intanto sul piano internazionale la situazione del Sinai è costantemente monitorata da contingenti rinforzati delle forze armate egiziane, specialmente dopo le notizie che diversi terroristi di Hamas sarebbero entrati nel paese provenienti dalla striscia di Gaza, per aiutare le formazioni paramilitari legate ai movimenti islamici negli sconti con le forze armate. La situazione preoccupa sia USA che Israele che temono un periodo di grande instabilità in Egitto, che potrebbe favorire gli aiuti, specie in armi, dei movimenti più oltranzisti presenti nella striscia di Gaza. Se questa eventualità dovesse prendere corpo, nel medi oriente si aprirebbe un nuovo fronte capace di sottoporre i fragili equilibri regionali a dura prova.

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