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lunedì 19 agosto 2013

Gli sviluppi egiziani

L’evoluzione della situazione egiziana impone delle riflessioni sul futuro dello stato, che hanno numerose connessioni ed inevitabili riflessi sulla politica internazionale. L’irrigidimento delle forze armate, culminato in una applicazione violenta della presa di potere ha messo in crisi le diplomazie occidentali, che erano state piuttosto morbide con il colpo di stato dei militari perché scongiurava uno scenario dove il potere confessionale aveva preso il sopravvento. Se alla vittoria elettorale di Mursi, e quindi dei Fratelli Musulmani, l’occidente aveva dovuto prendere atto della scelta del popolo egiziano, l’epilogo delle urne non è mai stato gradito ne agli USA ne alla UE, che hanno fatto sostanzialmente buon viso a cattivo gioco. L’inconciliabilità estrema emersa, tra mondo laico e mondo confessionale è sfociata in uno stato di equilibrio fortemente precario che ha obbligato l’intervento dell’esercito, la cui repressione si è estremizzata per una eccessiva chiusura degli islamisti, in cui ha giocato un ruolo non affatto secondario il contrasto, sempre più evidente, che si sta sviluppando all’interno del mondo sunnita. Quello a cui si sta assistendo è un brusco rovesciamento dei ruoli tra i sciti ed i sunniti, dove una parte considerevole dei secondi ha imboccato un radicalismo sempre più intransigente. A livello internazionale questo dualismo è rappresentato, tra i diversi casi presenti, dagli indirizzi che hanno intrapreso paesi alleati, come l’Arabia Saudita ed il Qatar, che si trovano su posizioni diametralmente opposte rispetto alla scenario egiziano. Sul piano interno appare al momento difficile trovare un accordo che metta fine ai contrasti profondi che si sono acuiti con una repressione troppo violenta, il tessuto sociale egiziano appare spaccato e condizionato da una incapacità manifesta della parte religiosa di comprendere il processo democratico necessario a ristabilire le condizioni per una pacificazione nazionale. Malgrado il comportamento violento, le forze armate sono l’unico ostacolo ad un degrado definitivo delle istituzioni del paese in una direzione autoritaria, rappresentando un ossimoro per i manuali i scienza della politica. Questo caso, destinato a fare scuola nei manuali universitari, deve però compiere una evoluzione verso uno stato di democrazia compiuta, perché la situazione può reggere soltanto nel breve periodo, pena la trasformazione in un regime militare a tutti gli effetti. In quest’ottica non può non considerarsi positiva la decisione di non procedere ad una messa fuori legge della Fratellanza Musulmana in quanto organizzazione politica. Questa mossa, malgrado i vertici dell’organizzazione siano fuori gioco, perché imprigionati, o peggio, uccisi, tiene conto di non precludere una eventuale, anche se per il momento remota, possibilità di coinvolgere nel processo democratico tutto il panorama politico del paese, ma serve, altresì, ai militari ad inviare un segnale positivo ai paesi occidentali. Dalla parte opposta le forze armate egiziane sono impegnate in un difficile contenzioso proprio con USA e UE, che sono i principali finanziatori di un paese letteralmente in ginocchio economicamente: i contributi stranieri sono essenziali per una ripresa funzionale alla pace sociale ed all’avvio del processo di pacificazione interno. Per fare fronte alle minacce di una interruzione del flusso di denaro, i militari hanno una carta importante da giocare, che è costituita dalla posizione strategica del paese nella questione israeliana. L’atteggiamento egiziano è fondamentale nell’equilibrio regionale e la posizione dei militari rappresenta una garanzia per il mantenimento dello status quo di Israele. Nello stesso tempo l’Arabia Saudita è contraria ad un ritorno della Fratellanza perché teme un riflesso all’interno della propria situazione politica. Tutte queste condizioni, che, è bene non dimenticarlo, stanno maturando nel paese arabo più influente, lasciano presagire che, malgrado le minacce e le giuste condanne per la repressione dei giorni scorsi, il futuro dell’Egitto è destinato ad andare incontro ad un sistema di governo dove i radicali islamici, nella migliore delle ipotesi, avranno un ruolo marginale . Ma le urgenze del momento sono il ristabilimento della calma e la necessaria velocità per approntare nuove elezioni che sanciscano l’affermazione di forze laiche, meglio se alleate con forze confessionali moderate, per raggiungere uno spettro il più ampio possibile del panorama politico del paese. Per quanto riguarda i radicali e gli estremisti, hanno già avuto la loro occasione di governare e l’hanno sprecata malamente, tralasciando le esigenze del paese, che sono soprattutto di natura economica, per imporre una visione troppo integralista della religione sulla vita politica, fattore che ha scatenato i disordini degli ultimi tempi.

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