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mercoledì 21 agosto 2013

Il fallimento del modello politico fondato sull'islamismo

Le accuse, provenienti dalla Turchia, che indicano Israele di essere dietro all’ascesa dei militari in Egitto, non paiono vere, ma danno la giusta misura del clima che si respira in quei paesi che speravano in un insediamento duraturo di un governo confessionale in un paese importante come quello egiziano. L’attuale sconfitta della Fratellanza Musulmana rappresenta il fallimento di un progetto panarabo di lungo respiro, che doveva portare alla diffusione di un modello politico nel quale, seppure con diverse gradazioni, la legge islamica andava a costituire la legge fondamentale dei rispettivi paesi. Capofila di questo progetto non ufficiale era la Turchia, che frustrata dal rifiuto della UE, ha intrapreso una linea politica, sia interna, che internazionale, tale da diventare punto di riferimento per quei paesi, soprattutto provenienti dall’esperienza della primavera araba, che hanno registrato la vittoria elettorale di formazioni che si richiamano alla religione islamica. Il governo turco ha accentuato le proprie posizioni religiose nella vita sociale in uno stato dove la componente laica è molto diffusa e che, per usi e costumi, si avvicina nettamente ai modi di vita occidentali. Questa decisione, pur suscitando dibattiti anche violenti nella società turca ed allontanando il paese ulteriormente dalla sempre agognata ammissione all’interno dell’Unione Europea, è stata registrata come un segnale inequivocabile cui fare riferimento per molte nazioni che, liberandosi da annose dittature, abbracciavano, grazie alla vittoria nelle urne, governi di ispirazione islamico confessionale. Del resto, fino alle recenti evoluzioni, la Turchia, anche grazie al proprio successo economico, era considerata dall’occidente ed in modo speciale dagli USA, una sorta di laboratorio politico, dove un islam moderato, al vertice del potere politico, potesse coesistere con una società che presentava parti consistenti di laicità. In questo quadro il peso dell’Egitto doveva però essere ancora più determinante; per la sua influenza nel mondo arabo il paese delle piramidi, anche malgrado l’attuale difficile situazione economica, aspetto che lo differenzia nettamente nel periodo in corso dalla Turchia, non poteva mancare nella continuità territoriale di governi islamici, che si è sviluppata nella sponda meridionale del Mare Mediterraneo. In effetti una riuscita del governo sorretto dalla Fratellanza Musulmana in un paese grande come l’Egitto, avrebbe costituito la migliore pubblicità per il modello politico che si stava sviluppando. Viceversa il fallimento che ha decretato l’intervento militare, causato dall’incapacità di intraprendere una politica di governo tesa a risolvere i problemi contingenti del paese, al posto della quale è stata praticata una azione tesa esclusivamente ad innestare i principi musulmani nelle leggi dello stato, può portare a seria riflessione anche altri popoli, che hanno percorso strade analoghe. Anche dal punto di vista del rispetto della totalità del tessuto sociale e delle diverse tendenze che hanno portato al rovesciamento di Mubarak, il fallimento è stato totale, perché non solo non si sono tutelate le minoranze, ma si è proceduto in modo univoco, instaurando un nuovo regime, questa volta di stampo religioso, che rivelato la scarsa attitudine democratica delle formazioni politiche islamiche. Questo modello ha ancora un futuro? Difficile dare una risposta affermativa: la totale crisi egiziana, i fermenti presenti in altri paesi come la Tunisia, le dimostrazioni nella stessa Turchia, dicono che questo modello politico non è condiviso per la propria radicalità, che ne costituisce il vero punto debole. Se, da un lato, non ha saputo essere inclusivo, coinvolgendo, nei rispettivi paesi dove è stato adottato, la totalità del corpo sociale, condizione necessaria per avere il successo cui aspirava attraverso le proprie caratteristiche, dall’altro lato la scarsa o nulla flessibilità e la poca capacità ad instaurare un dialogo con le altre forze politiche ne decretano l’inadeguatezza all’interno di sistemi democratici. Non è neppure sufficiente l’obiezione della vittoria elettorale, in quanto in democrazia chi vince non prende tutto, proprio perché il potere deve essere adeguatamente bilanciato, principio tradito in modo assoluto. Certo la via dei militari egiziani non rappresenta la giusta risposta, ma con queste premesse il pericolo che situazioni analoghe si ripetano non è così remoto, tanto è vero che in Turchia il governo si è subito preoccupato del contenimento delle forze armate.

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