Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

venerdì 2 agosto 2013

La denutrizione incide sul PIL

Uno studio del governo della Swaziland in collaborazione con il Programma alimentare mondiale ha evidenziato come le ricadute della carenza alimentare, che producono fame e malnutrizione, incidano in maniera determinante sul prodotto interno lordo di un paese. Si tratta di una interpretazione prettamente economica, perfettamente in linea con i tempi che stiamo attraversando, ma che denota una totale estremizzazione della modalità di lettura dei dati nel solo senso dei costi. Viene, cioè, ricompreso il prezzo in vite umane, all’interno della valutazione economica, facendo perdere il valore intrinseco delle vittime per fame, che dovrebbe essere ben più altamente considerato. Nello Swaziland il trenta per cento dei bambini soffre la fame e questa condizione compromette il loro futuro, perché, statisticamente, rientreranno, sempre che sopravvivano, nella statistica degli abbandoni scolastici, precludendosi ogni possibilità di crescita sociale. Anche come lavoratori, sicuramente impiegati in mansioni di baso livello, soffriranno i postumi della denutrizione patita in età infantile, che avranno ripercussioni nell’età adulta. In conclusione chi soffre la fame da bambino dovrà affrontare una vita di emarginazione da adulto. Le fredde statistiche confermano questi trend con il dodici per cento di bambini denutriti che abbandonano il percorso scolastico ed il quaranta per cento dei lavoratori che soffrono di malattie croniche legate alla malnutrizione subita da bambini. Questi dati confermano in pieno la lettura degli economisti che ad una diffusa malnutrizione corrisponde una caduta del prodotto interno lordo, anche se, forse, non vi era bisogno di impegnare soldi da destinare per altri scopi in una ricerca che conferma l’ovvio. Nel caso dello Swaziland l’insufficienza alimentare incide per un meno 3,1% annuo sul prodotto interno lordo pari ad un valore di 92 milioni di dollari. Si spera che l’avvallo degli economisti possa servire ad approntare nuovi programmi di aiuti alimentari più efficaci ed efficienti, che possano vedere impiegate sempre più risorse finanziarie, anche perché una maggiore crescita dei paesi poveri significa l’apertura di nuovi mercati e quindi ulteriori possibilità di commerci. Si tratta di una interpretazione utilitaristica, che può lasciare interdetti, ma se può contribuire ad eliminare la fame dal mondo anche questa lettura deve essere, non solo ben accetta, ma perseguita in maniera convinta. D’altro canto con la necessità della razionalizzazione delle risorse, esigenza sentita ad ogni livello, questa lettura può fornire nuove opportunità di impiego degli aiuti, tramite progetti focalizzati sulla autonomia alimentare, che non si basino sulla mera fornitura di cibo, ma che devono comprendere anche l’istruzione, le conoscenze ed i materiali per raggiungere l’autosufficienza affinché venga sconfitta la fame. Il solo aiuto in derrate alimentari, rappresenta ormai un sostegno quasi paternalistico che non risolve il problema alla radice e crea continua dipendenza per le popolazioni aiutate, che rischiano di venire abbandonate per qualsiasi emergenza o motivo. Dal piano complessivo di aiuti è imprescindibile un sempre maggiore impegno a favore dell’aspetto sanitario, che non deve più essere soltanto complementare ma deve affiancare, anche a livello pedagogico, le forniture di cibo e gli aiuti per la crescita verso l’autonomia. A livello internazionale occorre, invece, una maggiore coordinazione tra una vastità di progetti condotti in modo, spesso autonomo, da una pluralità più diversa di soggetti, sia pubblici che privati, che fanno sistema soltanto in determinati casi, lasciando alla singola iniziativa la soluzione di piccole parti del problema più vasto. A questo scopo è necessario un maggiore coinvolgimento degli enti sovranazionali maggiormente supportati dai contributi dei singoli stati.

Nessun commento:

Posta un commento