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lunedì 26 agosto 2013
Le opzioni USA per lo scenario siriano e le loro conseguenze
Gli USA si preparano ad affrontare tutte le opzioni possibili nello scenario siriano. Gli effetti del bombardamento chimico hanno prodotto una pressione su Assad, che concederà l’accesso alla zona agli ispettori dell’ONU, decisione, tardiva, presa anche in seguito alla reazione americana. Obama ha, infatti, rafforzato la presenza di navi militari statunitensi nel mediterraneo, dotate di armamenti in grado di lanciare missili su obiettivi siriani; nella zona stazionano anche sommergibili della Gran Bretagna, presumibilmente pronti ad affiancare l’eventuale azione USA. Non è detto che, però, la scelta sia quella di passare all’azione a tutti i costi: la via diplomatica continua ad essere percorsa, in omaggio alla strategia di politica internazionale abbracciata dal presidente statunitense, che non intende aprire un nuovo fronte militare in un paese musulmano, cercando una ingerenza su fatti che accadono nel mondo arabo più morbida possibile. A favore di questa condotta vi è l’alta percentuale, circa il 60%, di contrari nella popolazione americana all’intervento armato delle forze USA nel conflitto siriano; inoltre, preoccupa anche la posizione della Russia, alleato di Damasco e contrario nella sede del Consiglio di sicurezza ad una azione sotto l’ombrello dell’ONU, una condizione che Obama ha finora ritenuto essenziale per impiegare personale americano nella vicenda. Tuttavia Washington si è auto vincolata alla promessa fatta nel 2012, che prevedeva l’intervento straniero nel caso di uso di armi chimiche. Proprio a causa di questo fatto, l’amministrazione Obama è stata fatta oggetto di ripetute critiche, che hanno minato il prestigio del paese americano, diminuendone la credibilità. Anche le opinioni di Francia ed Israele potrebbero contribuire alla decisione statunitense di espletare una forma di contrasto maggiore, di quelle fin qui praticate, contro il regime di Damasco: entrambi i paesi si sono detti favorevoli ad una soluzione che consenta la fine delle ostilità nel modo più rapido possibile. La presenza delle navi indica già che l’opzione di bombardare dal mare le installazioni siriane lealiste è quella più probabile, associata all’impiego delle batterie installate in Giordania, in prossimità del confine siriano. Anche l’istituzione di una zona di non volo viene presa in esame dagli Stati Uniti, sia come possibile provvedimento singolo che coordinato all’azione dal mare. L’unica opzione scartata sicuramente è quella di un intervento di terra con soldati statunitensi impiegati sul terreno siriano; se sarà necessario ulteriore personale militare, oltre quello già presente sul terreno ed addestrato dalla CIA, dovrà essere fornito da altri stati arabi. La Siria ha reagito a questi sviluppi minacciando di coinvolgere l’intero medio oriente nel conflitto, ed il recente attentato avvenuto in Libano, potrebbe rientrare in questa strategia. Vi è poi da valutare la posizione di Israele, che segue con molta attenzione l’evolversi della situazione ed ha fatto sapere di avere già il dito sul grilletto del fucile puntato sulla Siria; a completamento di tutto ciò anche l’Iran ha fatto sentire la sua voce, avvertendo gli Stati Uniti, che un eventuale attacco contro Damasco provocherebbe la reazione di tutto il mondo arabo. In realtà l’Arabia Saudita, con gli Emirati Arabi Uniti sono totalmente al fianco degli USA nella lotta contro Assad, ma divisi dal Qatar che ha una diversa visione della situazione differente preferendo finanziare i gruppi islamici più radicali che combattono contro il regime siriano. Le preoccupazioni maggiori si addensano sulla minaccia di una espansione di un conflitto che può assumere una dimensione regionale, in una zona nevralgica per la pace nel mondo. Questa ipotesi potrebbe essere stata considerata da diverso tempo dagli USA, che proprio in quest’ottica hanno accelerato, ancora senza grandi risultati, il processo di pace tra israeliani e palestinesi, per eliminare un fattore preponderante nel quadro generale. Una metodologia di allargamento del conflitto potrebbe consistere in una doppia azione incentrata su azioni terroristiche maggiormente concentrate nello scenario regionale, sostenute da azioni meno numerose ma più mirate e mediaticamente rilevanti da condurre in quei paesi, o nelle loro strutture presenti all’estero, che intenderanno schierarsi contro la Siria. La presenza di Israele al centro di questo teatro innalza il grado di pericolosità dello scontro, dato che Tel Aviv ha già posto in chiaro che reagirà ad ogni provocazione e potrebbe riprendere le azioni preventive contro la Siria, di cui è stato protagonista tempo addietro.
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