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venerdì 23 agosto 2013
Siria: l'occidente comincia a muoversi contro Assad
L’impiego delle armi chimiche, da parte del regime di Damasco nella recente strage avvenuta in terra siriana, che ha incluso nella tragica contabilità delle vittime diversi civili, tra cui molti bambini, potrebbe essere una risposta ad interventi di gruppi armati provenienti da paesi esteri ed in grado di sovvertire le sorti del conflitto. Si tratterebbe di militari addestrati dalla CIA in campi presenti in territorio giordano, al confine con la Siria, e che comprenderebbero anche personale israeliano. La tempistica dell’uso delle armi chimiche, avvenuta in presenza degli ispettori dell’ONU, potrebbe essere un ulteriore elemento in grado di avvalorare questa ipotesi, come gesto sia disperato, che utilizzato come elemento deterrente contro il concreto inserimento di forze straniere altamente preparate nella guerra civile siriana. L’amministrazione Obama, che porta avanti la sua politica di non intervento, fortemente contraria all’impiego diretto di militari americani, potrebbe così avere trovato un compromesso per entrare in maniera indiretta all’interno della contesa, anche in ragione dei tanti solleciti provenienti da altre potenze occidentali, in primis la Francia, e dall’opinione pubblica americana, specie dal Partito Repubblicano. La possibile evoluzione nel teatro di guerra all’intervento di questi battaglioni, potrebbe essere la creazione di una zona cuscinetto nel sud della Siria, destinata a diventare, probabilmente, una zona di non volo per limitare l’azione degli aerei militari legati alle forze leali ad Assad, che hanno finora consentito di mantenere la supremazia bellica sui ribelli. Un indizio ulteriore di questo sviluppo è stata l’installazione da parte degli USA, sul suolo giordano, di batterie antiaeree fin dal mese di giugno. La tela tessuta dagli americani in maniera discreta, sembra così materializzarsi in modo graduale ma incessante, tanto da diventare una minaccia oggettiva per Assad. Una interpretazione dell’uso delle armi chimiche, secondo alcuni analisti, è la messa in pratica della minaccia del loro impiego proprio a seguito di aggressione esterna. Va anche detto che finora la minaccia di Obama, per innescare un intervento militare statunitense, identificata come la linea rossa da non attraversare e consistente proprio nell’uso delle armi chimiche era rimasta sostanzialmente lettera morta, provocando diverse critiche all’amministrazione di Washington, malgrado sarebbero stati precedentemente identificati fino a tredici casi di attacchi chimici, sebbene praticati con bassa intensità. Tuttavia l’impiego di agenti chimici non è mai stato del tutto dimostrato per l’ostruzionismo praticato dal regime di Damasco ad ispezioni internazionali tese ad accertare la verità. Senza una certificazione ufficiale è molto difficoltoso per Obama derogare dai limiti che gli stessi Stati Uniti si sono imposti riguardo ad un intervento militare, peraltro condizionato anche dalla profonda frammentazione delle forze ribelli, che comprendono fazioni anche spesso in contrasto tra di loro, data la presenza di opposte tendenze, che vanno dalle formazioni laiche fino a radicali islamici vicini ad Al Qaeda. Mentre sul piano internazionale Washington è bloccato dalla azione contraria di Mosca, che tende a proteggere il regime a capo del paese siriano per propri vantaggi geopolitici. La sensazione che traspare dall’evoluzione di questi giorni è che il conflitto della Siria possa essere ad una svolta decisiva, anche se occorre ancora valutare cosa faranno la Russia e l’Iran nel caso l’azione occidentale vedrà un incremento sostanziale e decisamente in grado di provocare la caduta di Assad.
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