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mercoledì 25 settembre 2013

I ribelli siriani si spaccano tra islamisti e laici

Diversi gruppi che compongono il fronte che si oppone ad Assad, nella guerra civile siriana, hanno firmato un documento nel quale si distaccano dall’Esercito siriano libero, accusato di non rappresentarli e soprattutto colpevole di non condividere il loro obiettivo di creare uno stato basato sull’applicazione della sharia come unica fonte di legislazione nazionale. Se questa posizione era, fino ad ora, quella dei movimenti più radicali, tra i quali quelli legati ad Al Qaeda, che spingevano per la creazione di un califfato, la firma dei movimenti di matrice islamica più moderata, segna una spaccatura profonda all’interno delle forze ribelli, che potrebbe condizionare l’esito del conflitto. In realtà questa divisione è esistita fin dall’inizio delle ostilità, ma il senso pratico delle parti più moderate aveva permesso di superare le differenze con i gruppi laici, che mirano a costituire uno stato sul modello delle democrazie occidentali. Questa divisione, sancita in modo ufficiale, apre scenari ancora più inquietanti, ma non inaspettati, sul prosieguo della guerra. Se a prima vista, appare chiaro che il maggiore vantaggio dovrebbe essere di Assad, al momento non si ritiene che i ribelli possano aprire anche un fronte ulteriore al loro interno, più facile che ogni forza, sia confessionale che laica, al momento, amministri la zona conquistata senza interferenze con la parte avversa. Più difficile la gestione delle zone di confine dove potrebbero generarsi scontri a tre, che faciliterebbero senz’altro il regime. Questo quadro rende più comprensibile il tentennamento americano e la sostanziale decisione finale di non intervenire, grazie alla trovata dello smantellamento dell’arsenale chimico. Occorrerà vedere comunque, quale sarà l’atteggiamento di USA ed Arabia Saudita, legate all’esercito siriano libero, in quanto fortemente contrarie all’affermazione di uno stato teocratico al posto del regime di Damasco. L’impressione è che gli Stati Uniti vogliano uscire dalla questione lasciando l’incombenza all’Arabia, che è direttamente interessata dagli sviluppi della guerra civile. L’altro stato del Golfo Persico, protagonista nei finanziamenti ai ribelli, parte islamista, il Qatar, dovrebbe avere, invece, accolto, con entusiasmo la decisione dei gruppi confessionali, in quanto fin dall’inizio ha spinto proprio per una soluzione prospettata nel documento firmato dai gruppi islamici che prende la strada della costruzione di uno stato di impronta islamica. Mentre per l’Iran il documento firmato rappresenta una soluzione che dovrà essere sicuramente avversata perché, oltre ad andare contro l’alleato storico, Damasco, prospetta la nascita di uno stato sunnita radicale ai suoi confini. Ma questa divisione rimette in gioco anche l’esito militare del conflitto: l’opposizione si indebolisce e non potrà sferrare unita l’attacco finale, Assad non è, però, in difficoltà e resiste grazie agli aiuti russi ed iraniani, una soluzione possibile potrebbe essere rappresentata dalla frammentazione dello stato siriano in tre parti, che dovrebbero poi trattare la pace. Si tratta, al momento, dello scenario che ha maggiore possibilità di realizzazione, tuttavia una Siria così divisa, anche trovando una pacificazione che al momento è ancora più difficile, rappresenterebbe una fonte ancora maggiore di instabilità, oltre che per ragioni interne anche per gli equilibri internazionali. Se Assad e la parte laica dei ribelli non dovrebbero rappresentare un pericolo per Israele, uno stato sunnita retto, tra gli altri, da Al Qaeda costituirebbe una minaccia costante per Tel Aviv, rimettendo in gioco anche le minacce americane.

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