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martedì 3 settembre 2013
Il voto del Congresso USA sull'intervento in SIria non è scontato
L’esito del voto del Congresso degli Stati Uniti è tutt’altro che scontato nel risultato di appoggiare le intenzioni di Obama di punire Assad per l’uso delle armi chimiche. Innanzitutto nel 2014 gli USA avranno l’appuntamento con le elezioni di medio termine, che riguardano i 435 membri della camera ed un terzo dei rappresentanti al senato. La prossimità di questa consultazione legislativa mette in pericolo il voto favorevole all’azione in Siria, specialmente alla Camera, i cui componenti sono ben consci del parere negativo, che costituisce l’opinione più diffusa nel popolo americano. I timori dei rappresentanti di una mancata rielezione potrebbero condizionare il voto, anche nello stesso partito del Presidente, anche se, va detto, la scadenza posta ad oltre un anno, novembre 2014, dovrebbe mitigare gli effetti di una eventuale decisione in favore dell’intervento militare. Altra fonte di preoccupazione è la divisione che regna in entrambi i gruppi al Congresso dei rispettivi partiti: esistono, infatti, dei repubblicani favorevoli a quanto proposto dal Presidente, come dei democratici che sono fermamente contrari. La fluidità della situazione ha imposto così ad Obama la ricerca di una sorta di alleanza tattica con la parte repubblicana più sensibile all’orgoglio ed al prestigio che la nazione deve avere nel panorama internazionale. Secondo l’ex avversario alle ultime presidenziali, John Mc Cain, un voto negativo sarebbe catastrofico per la credibilità del paese ed aprirebbe imprevisti nel campo della diffusione delle armi di distruzione di massa. Questo parere collima alla perfezione con quello dello staff della Casa Bianca, quello che non corrisponde è l’entità dell’azione punitiva contro Assad; mentre Obama è per un intervento di breve durata e limitato anche negli obiettivi, Mc Cain è dell’avviso che l’azione militare debba essere più articolata e, soprattutto, in grado di mettere fine al regime di Damasco. Questa posizione è condivisa da diversi membri del Congresso, anche alcuni democratici, ma, soprattutto, dai repubblicani più convinti. Il Presidente, insomma, rischia di avere il voto contrario sia dei pacifisti, che dei “guerrafondai”, che seppure per ragioni opposte si trovano a condividere una posizione negativa contro l’opzione del bombardamento dal mare. Questo scenario politico, occorre ricordarlo si svolge in un parlamento molto frazionato, che non è riuscito ad accordarsi su materie come il bilancio, l’immigrazione ed il controllo delle armi, la situazione è talmente confusa, che neppure le maggioranze nominali presenti, democratici al senato e repubblicani alla camera,possono fornire una indicazione certa sull’esito del voto. L’aspetto di novità, costituito dal sottoporre al parlamento la questione per avere una autorizzazione istituzionale, usata per la verità più che altro per scavalcare i sondaggi, che danno l’opinione pubblica contraria in grande maggioranza, può fare leva sulla necessità di mantenere una reputazione internazionale intaccata dalle tante esitazioni e raccogliere, quindi, un voto trasversale che fornisca l’assenso politico alla ritorsione militare. Uno dei rischi maggiori, per la necessità di urgenza della risposta da dare ad Assad, è che il dibattito si dilunghi e che il Congresso metta dei limiti o degli aggiustamenti alle modalità di intervento. Una questione fondamentale, su cui si registrano diverse opinioni concordanti, è quella di impedire l’impiego delle forze terrestri, eventualità sempre scartata da Obama, ma mai definita in maniera netta e sicura. Potrebbero essere anche altre le materie di discussione, in modo da fare assumere al Congresso una sorta di paternità dell’intervento, che fornirebbe ad Obama l’assenso, ma condizionato dai confini imposti dalla discussione. Tuttavia, malgrado tutte queste riflessioni l’esito continua ad essere niente affatto scontato, aprendo scenari internazionali completamente nuovi.
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