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Politica Internazionale
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lunedì 2 settembre 2013
Le ragioni dei pacifisti e la necessità dell'intervento armato
Mentre l'opposizione siriana è disorientata dal comportamento degli Stati Uniti, occorre effettuare una riflessione sulle reali conseguenze che una mancata sanzione militare contro Assad può produrre nel panorama internazionale ed in alcune nazioni, che potrebbero interpretare il comportamento di Washington come una sorta di via libera per un riarmo su grande scala, specialmente relativamente ad armamenti non convenzionali, come quelli chimici su cui ruota il dibattito. Se è ovvio che l’avversione alla guerra sia una condizione naturale nelle popolazioni occidentali, occorre anche riflettere su quale atteggiamento adottare in presenza di ingiustizie palesi, che configurano la violazione di norme di diritto internazionale ed umanitario. Le stragi, praticate anche con armi convenzionali, che non sono meno dannose di quelle non convenzionali, l’uso di agenti chimici, la cui dissuasione dovrebbe preoccupare l’intera totalità degli abitanti del pianeta, sono argomenti di fronte ai quali il pacifismo ad oltranza rischia di essere complicità con il dittatore di turno. Il principio della non ingerenza all’interno degli affari degli stati non può essere sempre valido: quando si producono situazioni che generano morti e profughi, dovrebbe essere un dovere, prima di tutto dell’ONU, poi delle nazioni nelle quali la democrazia è consolidata, intervenire per risolvere le situazioni più urgenti. Certo la diplomazia, esplicata in tutte le sue forme, deve avere la precedenza, ma senza alcun effetto prodotto da vertici, incontri od anche sanzioni, non si può insistere a temporeggiare all’infinito. Se da un lato si possono ben comprendere le ragioni di quei manifestanti o di quei parlamenti che rigettano in maniera assoluta l’azione militare, non si può non cogliere altresì, la contraddizione di fondo che questo atteggiamento genera, ossia il perdurare di fenomeni, spesso contro popolazione inerme, che sono in netto contrasto con la volontà pacifista alla base del diniego della sanzione armata. Molto sconcertante è poi vedere quale, essendo l’unica, soluzione alternativa viene proposta: una azione diplomatica inutile, perché sorpassata dagli eventi, che resta come attività di mero esercizio formale. Anche le eventuali conseguenze che possono essere percepite da quelli che una volta erano definiti come “stati canaglia”, che mirano a ricattare il mondo con la minaccia di dotarsi di sempre maggiori armamenti, dovrebbero essere valutati in maniera più approfondita dal pacifismo a tutti i costi. Permettere che una nazione come la Siria usi impunemente armi che sono state bandite dalla maggior parte degli stati del consesso mondiale, significa aprire un precedente importante per altri casi analoghi che potrebbero verificarsi in futuro. Mentre l’impianto democratico degli stati occidentali, giustamente discute sul da farsi, supplendo alla deficienza istituzionale ed organizzativa delle Nazioni Unite, i massacri vanno avanti, nonostante il pacifismo ad ogni costo che condanna moralmente, senza altro potere fare; questa situazione, dettata anche dalle spiacevoli esperienze precedenti, dove proprio gli USA hanno gestito male la situazione, induce a valutazioni anche di tipo economico, tuttavia il pericolo di cadere, come in parte è già successo, in una svalutazione del prestigio internazionale di Stati Uniti ed anche UE, dovrebbe essere valutata altrettanto attentamente, per le ovvie ricadute negative che comporta. La mossa di Obama di coinvolgere il parlamento americano è un estremo tentativo di avere una legittimazione per uscire dal vicolo cieco imboccato dal presidente americano. Si tratta, dal punto di vista dell’esercizio della democrazia, di una decisione ineccepibile, che permette ad Assad di guadagnare altro tempo e che frustra le speranze della parte degli oppositori che si batte per instaurare regole democratiche, mentre per gli altri la titubanza americana rappresenta una conferma dell’inaffidabilità a stelle e strisce. Questi sentimenti che stanno maturando rappresentano una delle più grosse sconfitte americane, perché l’incertezza di Obama appare come un tradimento, proveniente dalla maggiore fonte in cui si era riposta la speranza. Anche i tempi tecnici che separano il voto del congresso americano, chiuso per ferie fino al nove settembre, devono apparire come incomprensibili a chi è in attesa di una decisione urgente e combatte sotto gli incessanti bombardamenti dell’artiglieria di Assad. Se noi occidentali facciamo fatica, spesso senza riuscirci, a comprendere le dinamiche che si sviluppano nei paesi arabi, dove spesso si è passati da una dittatura di forma laica ad una di forma religiosa, sebbene sorretta dal voto popolare, altrettanto difficoltosa deve essere la comprensione di chi sta combattendo e per ricevere un aiuto deve aspettare che alcuni signori rientrino dalle vacanze. La figura degli USA diventa certamente grottesca, con la distorsione evidente di una pratica democratica, quella che avremmo voluto esportare, asservita a tempistiche irragionevoli, se rapportate all’importanza della questione. Così la Siria ha ripreso il proprio atteggiamento arrogante dei giorni migliori, giustificato dalle divisioni occidentali e dalle lentezze delle procedure, che gli regalano tempo prezioso.
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