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mercoledì 2 ottobre 2013
Israele non si fida del nuovo corso iraniano
La svolta diplomatica impressa dal Presidente iraniano Rohani ai rapporti con gli USA, non impressiona favorevolmente Israele, che non intravede un reale cambiamento nella nuova impostazione politica di Teheran, ma soltanto una ulteriore strategia per guadagnare tempo a favore della costruzione dell’atomica. In sintesi è questa la visione che ha Netanyahu del nuovo corso dell’Iran, che fa temere a Tel Aviv sviluppi negativi sui negoziati per il nucleare iraniano. La provenienza religiosa del nuovo presidente ed il potere ancora saldamente in mano alla guida spirituale Khamenei,costituiscono per Israele indizi più che sufficienti sulle reali intenzioni della teocrazia scita. Netanyahu, da sempre apertamente ostile verso l’Iran e più volte sostenitore della necessità di un attacco preventivo, che possa risolvere una volta per tutte quello che in Israele è ritenuta la minaccia esterna più pericolosa, dimostra di temere un ammorbidimento degli Stati Uniti nei rapporti con l’Iran, destinato ad attenuare le sanzioni e quindi a favorire la ripresa economica iraniana, cui potrebbe conseguire il raggiungimento dell’obiettivo dell’ordigno atomico. Le rassicurazioni di Obama, che, nonostante la soddisfazione per la possibilità di riprendere le relazioni diplomatiche con Teheran, ha confermato l’estrema cautela della Casa Bianca, per la quale non sono sufficienti le rassicurazioni verbali di Rohani, cui dovranno seguire gesti concreti, che possano rassicurare materialmente l’occidente sulle reali intenzioni iraniane di usare l’energia nucleare solo per scopi civili. Gli USA intendono riconoscere questa scelta al paese iraniano, che rientra pienamente nella propria sovranità; al contrario per Israele questa, che viene vista come una concessione, costituisce un atto di debolezza. Tel Aviv non esclude, alla luce di questi sviluppi, la realizzazione di un attacco preventivo anche senza gli USA, qualora i servizi segreti israeliani arrivassero alla conclusione che l’Iran fosse vicino alla bomba atomica. Questa prospettiva, in realtà, è certamente più lontana di qualche mese prima, soprattutto di quando al governo c’era Ahmadinejad; il riavvicinamento tra USA ed Iran permette di scongiurare anche le iniziative singole di Israele, che senza l’aiuto di Washington non è materialmente in grado di condurre una azione militare di tale portata con i suoi, seppure importanti, armamenti. Netanyahu ne è consapevole, ma deve cercare di mantenere un profilo non certo conciliante con le prospettive diplomatiche che si stanno realizzando. Per Israele l’uscita dall’isolamento internazionale che l’Iran sta per raggiungere, significa una nuova posizione internazionale per Teheran, cui viene riconosciuta dagli USA una soggettività internazionale di rilievo specialmente nell’area mediorientale. Per la Casa Bianca si tratta di una mossa obbligata per sbloccare una situazione diplomatica che non gli conviene più, come non conviene a Teheran perseverare ad essere un paese arroccato, involuto e ripiegato su se stesso. Questa coincidenza di interessi mette Israele nella condizione di dovere accettare, seppure controvoglia, un nuovo scenario cui fare fronte. Se per Tel Aviv l’isolamento di Teheran era la condizione ideale, ora il governo israeliano deve rivedere le sue tattiche diplomatiche per affrontare la questione; dalla reazione di Netanyahu sembra che l’esecutivo di cui è a capo, non sembrasse ancora pronto ad affrontare una eventualità che si sta materializzando con grande velocità. Per ora la reazione rabbiosa rivela una grande impreparazione a gestire la situazione, che sarebbe stata meglio interpretata fornendo segnali, anche molto cauti, di ottimismo, fatti di aperture di credito, seppure con tutte le cautele del caso. Se le relazioni tra Iran ed USA avranno, come si spera, sviluppi positivi, in grado di portare una pace duratura tra i due paesi, Israele dovrà rivedere il proprio comportamento, ma il problema è se Netanyahu sarà in grado di modificarlo.
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