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martedì 15 ottobre 2013
Le monarchie sunnite del Golfo Persico temono la ripresa delle relazioni tra USA ed Iran
L’evoluzione dei contatti diplomatici tra Iran ed USA, non è giudicata da tutti in maniera positiva. Sulla stessa linea di Israele, anche se con sfumature diverse, si collocano infatti gli stati sunniti del Golfo Persico, tradizionali alleati degli Stati Uniti, che non hanno accolto con favore la ripresa dei rapporti tra Washington e Teheran. Chi credeva che una moratoria sulla questione nucleare militare, questo è infatti il risultato che gli USA cercano, potesse portare anche ad una distensione tra le monarchie sunnite e lo stato teocratico scita resterà deluso. La grande rivalità religiosa, inquadrata nel sempre più aspro conflitto teologico e politico, tra sunniti e sciti e l’annosa questione della dottrina che deve avere la supremazia nella religione islamica, costituiscono delle divisioni invalicabili, anche solo per potere instaurare relazioni di buon vicinato. La prima riflessione che gli stati sunniti fanno è sulla presenza militare americana nel Golfo Persico, qualora le relazioni tra Washington e Teheran dovessero veramente normalizzarsi: la conseguenza potrebbe essere una diminuzione degli effettivi e dell’arsenale che gli Stati Uniti usano da anni per presidiare il Golfo Persico da eventuali azioni iraniane; questi contingenti hanno anche la funzione di difendere le monarchie sunnite, in qualità di alleati americani, ed una riduzione della forza militare impiegata nella regione, potrebbe esporre i paesi arabi ad eventuali atti ostili da parte di Teheran. Anche se si tratta di una ipotesi remota, la diminuzione della presenza americana significherebbe comunque il declassamento dell’importanza del Golfo Persico nel quadro strategico statunitense. Tuttavia, pur nella generale apprensione, data dal riavvicinamento tra Iran ed USA, le posizioni dei paesi sunniti del Golfo non sono del tutto univoche. L’atteggiamento più scettico verso la ripresa dei rapporti tra i due storici nemici è quello da parte di Arabia Saudita e Bahrain, che ricalcano le posizioni israeliane, che non credono sincera la nuova via intrapresa dagli iraniani. L’Arabia Saudita è già rimasta delusa dal mancato attacco militare, da parte degli Stati Uniti alla Siria e la novità dell’avvicinamento con Teheran fa temere a Riyad un cambiamento radicale nella impostazione della politica americana per la regione. Questo dubbio è anche alimentato dal mancato coinvolgimento dei paesi sunniti nelle trattative diplomatiche tra USA ed Iran e viene interpretato come una messa in secondo piano di questi stati e dei loro interessi. In effetti gli USA non si sono mostrati, nel situazione contingente degli alleati particolarmente sensibili, avendo considerato soltanto la loro necessità geopolitica, senza tenere conto delle esigenze, piuttosto sentite, dei paesi del golfo. Se da un lato l’atteggiamento americano può essere comprensibile, perché ha evitato di inserire un elemento, quello religioso, che poteva portare profondo disturbo nelle trattative appena iniziate, dall’altro lato non si poteva tenere conto che la suscettibilità dei sunniti sarebbe stata ferita. Nel soppesare gli elementi attivi e passivi del bilancio di questa fase, Washington ha preferito rivolgersi soltanto agli iraniani, senza però escludere un coinvolgimento più ampio in un futuro prossimo. Ma questa non è comunque una certezza e non cancella il sospetto che le trattative possano favorire una influenza ancora maggiore sulla Siria da parte del paese iraniano. Questa soluzione è quella che era maggiormente invisa all’Arabia Saudita, che sperava di portare Damasco sotto la propria influenza, per impedire a Teheran di realizzare il suo progetto geopolitico. Se la posizione di Riyad è dunque la più dura, quelle degli Emirati Arabi Uniti, dell’Oman e del Qatar sono più concilianti verso la ripresa delle relazioni tra Usa ed Iran, perché possono favorire una diminuzione generale della tensione nella regione del Golfo Persico e quindi allontanare il rischio di un conflitto, più volte paventato da più parti. Non si tratta di vere e proprie aperture di credito verso l’Iran, ma di speranze, attenuate però nella condivisione dei timori sauditi, di un ridimensionamento dell’impegno militare americano nel Golfo. Questa comune preoccupazione deve essere fugata rapidamente dagli USA, se non vuole alterare preziosi rapporti con alleati di primo piano, soprattutto in una fase iniziale del a ripresa delle relazioni, che, aldilà delle speranze, non si basa ancora su elementi certi e sicuri.
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