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martedì 1 ottobre 2013
L'Iraq colpito dagli attentati
Gli attentati di questi giorni in Iraq, dove sono stati colpiti siti sciiti, ma anche curdi, rappresentano l’evoluzione del malcontento della minoranza sunnita sempre più cavalcato dagli estremisti di Al Qaeda. Con la fine del dominio di Saddam Hussein, che assicurava ai sunniti, minoranza nel paese iracheno, il governo e la copertura dei posti chiave dell’amministrazione dello stato, il potere è andato alla maggioranza sciita, che ha operato una politica repressiva, quasi vendicativa contro i sunniti. Fin dalla presenza americana le due etnie hanno convertito i pessimi rapporti esistenti in episodi di reciproca ostilità spesso sfociati nella violenza. L’abbandono delle truppe americane ha lasciato un varco ancora maggiore per chi punta alla destabilizzazione di uno stato, che potrebbe arrivare alle previste elezioni del 2014 in condizioni profondamente critiche. Dall’inizio del mese, infatti, i morti sono stati 870, mentre le vittime dall’inizio dell’anno sono state oltre 4.700. Soltanto nella giornata di ieri sono esplose ben dodici autobombe, che hanno provocato 47 morti ed almeno 140 feriti. Le modalità degli attentati seguono ormai uno schema ben preciso, che prevede l’esplosione quasi simultanea di ordigni piazzati in punti strategici e sempre molto frequentati, come moschee, campi di calcio, cliniche e mercati. La volontà è quella di lasciare il paese in uno stato di profondo terrore, in modo da paralizzarlo. Si tratta di cifre e modalità operative tipiche di una zona palesemente in guerra e tale deve essere identificata, come guerra civile, l’attuale situazione dell’Iraq. La commistione tra i gruppi di insorti sunniti ed Al Qaeda appare evidente, l’organizzazione terroristica punta sempre di più, come propria strategia, a guadagnare le simpatie sunnite, forte del progetto di creare un insieme di califfati dove instaurare la legge islamica come norma fondamentale di regolazione del diritto. Su queste basi, la situazione irachena sta incominciando ad avere con quella siriana, pesanti analogie: i governi al potere sono legati all’etnia scita e sono caratterizzati da pesante debolezza che provoca un senso di generale instabilità nei due paesi; certo a Bagdad la situazione complessiva non è ancora degenerata come nel teatro siriano, tuttavia il grado di logoramento portato avanti dai radicali sunniti, che trovano terreno fertile nel generale scontento della popolazione sunnita, discriminata dal governo a maggioranza scita, può potenzialmente portare ad una evoluzione particolarmente grave, che non potrebbe non avere ripercussioni sull’atteggiamento di alcuni soggetti internazionali di grande peso politico. Resta difficile infatti, escludere una qualche forma di intervento iraniana a tutela di un governo con cui si stanno allacciando relazioni sempre più strette, maturate a causa della comune provenienza scita. Dall’altro lato pare, invece più difficile un coinvolgimento degli stati sunniti del Golfo Persico, tranne forse in maniera più attenuata il Qatar, per il pesante coinvolgimento di Al Qaeda. L’Arabia Saudita teme il dilagare dei movimenti fondamentalisti, che potrebbero costituire un grave motivo di turbamento, sia nell’area mediorientale, che allargare la propria influenza ai paesi circostanti. Uno degli effetti dei ripetuti attentati e del clima di pesante instabilità sono le migrazioni delle due etnie, all’interno del paese, verso zone dove la rispettiva appartenenza, sia etnica, che religiosa è maggioritaria, per ridurre così le possibilità di cadere vittima di attentati indiscriminati. La situazione preoccupa il panorama internazionale, proprio per il timore di una implosione dello stato iracheno, che potrebbe dare il via alle terribili conseguenze del tipo siriano. Per questo motivo sia gli USA, che le Nazioni Unite, nel condannare gli attentati, hanno chiesto al governo del primo ministro sciita Nuri al - Maliki di adottare riforme per evitare un'ulteriore emarginazione dei sunniti, che potrebbe favorire, in modo ancora più massiccio, il reclutamento di terroristi operanti nelle fila di Al Qaeda. L’Iraq vive così ancora una triste pagina della sua storia, causata dalla miopia occidentale, che non ha avuto il coraggio di dividere in tre il paese, zona scita, zona sunnita e zona curda, dopo l’intervento contro Saddam Hussein, un provvedimento che avrebbe scongiurato una coesistenza forzata che sta determinando un conflitto interno, il cui esito è lontano da ogni previsione.
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