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lunedì 14 ottobre 2013

Ragioni e possibili soluzioni dei flussi migratori della disperazione

I tristi episodi dei naufragi nel Mediterraneo dei profughi che cercano di entrare in Europa attraverso l’Italia, testimoniano una realtà differente dagli sbarchi di qualche anno prima, che erano contraddistinti da ragioni prevalentemente economiche. Ora, alle perduranti situazioni di gravità di tipo economico, si aggiungono, aumentando la loro percentuale sulla totalità del fenomeno, le ragioni di ordine politico, la fuga da regimi sempre più violenti, la fuga da guerre, dove il caso siriano è il più eclatante ed infine dalla più totale indigenza, provocata dai fenomeni atmosferici responsabili delle sempre maggiori carestie. Si tratta di problemi che non sono sorti da un momento all’altro, ma che hanno colto comunque di sorpresa le autorità occidentali, che si sono fatte trovare impreparate di fronte a fenomeni ampiamente annunciati. Eppure le avvisaglie c’erano state tutte: i sommovimenti derivanti dalle primavere arabe, l’instabilità politica profonda di stati di transito dei migranti, come Libia ed Egitto, le situazioni limite dei campi profughi turchi intasati dalle conseguenze della guerra siriana, la cronica mancanza di cibo del Corno d’Africa, che ha messo a dura prova lo stato confinante del Kenya, dove si trova il campo profughi più grande del mondo. La marea umana, che ha trovato rifugio nelle zone limitrofe da cui fuggiva, ha saturato la capacità di accoglienza di paesi molto più poveri di quelli occidentali, che hanno saputo, tra mille difficoltà, fare fronte a stati di emergenza ben più gravi di quelli a cui è sottoposta l’Europa questi giorni. Tuttavia la ricerca di condizioni più dignitose e la volontà di unirsi a parenti già presenti nel vecchio continente hanno fatto da traino per esaudire le speranze di chi è andato in cerca di un futuro migliore. Va detto che la situazione politica generale che è ritenuta una della cause maggiori è figlia del processo di globalizzazione che ha colpito il mondo intero, ma che nelle zone più povere ha aggravato lo stato delle popolazioni, che sono spesso passate da una dignitosa povertà ad una totale miseria. Questo aspetto fondamentale per trovare le ragioni delle crisi migratorie e quindi anche per risolverle, non è stato sufficientemente riconosciuto ed indagato a fondo, preferendo individuare nelle cause politiche le maggiori responsabilità, anziché considerarle conseguenza della pauperizzazione progressiva causata anche dagli accordi sul WTO e di tutta quella logica mercantile e globalizzante, proveniente dal liberismo sfrenato che ha governato il mondo. Uno degli effetti che questa tendenza ha provocato è stato proprio quello di non riuscire a limitare il ruolo delle migrazioni, che sono diventate la soluzione estrema a cui sfuggire a condizioni di vita inumane. Si è trattato di un effetto che gli economisti mondiali non avevano previsto, perlomeno in queste dimensioni, e che evidenzia tutta la debolezza della teoria economica liberista. Ma arrivati a questo punto, le soluzioni necessarie devono provenire dalla politica e non possono provenire da singoli settori, ma necessitano di un approccio che sappia prevedere la collaborazione su più livelli, che sul piano pratico, convergano in uno sforzo complessivo di complessa organizzazione. Se le soluzioni immediate non possono che avere carattere di urgenza, il problema complessivo deve essere risolto con politiche sovranazionali da attuare direttamente sul campo. Il raggiungimento della pace in Siria, attraverso una opera diplomatica incessante deve già prevedere la ricostruzione dell’economia siriana in un clima di pacificazione che possa permettere il ritorno dei profughi e fissi le condizioni per impedire nuove partenze. Questo progetto è ambizioso, vista la situazione attuale, ma deve essere percorso dalla comunità internazionale accantonando esigenze nazionali dei singoli stati o gruppi religiosi. A ben vedere, nonostante la gravità, quello siriano è una delle situazioni meno difficili se confrontata alla cronicità della condizione presente in Eritrea e Somalia, due dei paesi che complessivamente stanno fornendo uno dei maggiori tributi in termine di numero di persone al movimento migratorio. Qui si tratterebbe di intervenire su situazioni complesse, in paesi privi di ricchezze naturali e non considerati strategici per gli equilibri mondiali, condizionati da regimi profondamente illiberali, dove la tortura è un comune mezzo giuridico e dove si registra la presenza, sempre più influente dell’estremismo islamico. Se una invasione di truppe internazionali che abbiano come obiettivo quello di fare cadere i regimi non è possibile, si potrebbe agire con mezzi misti, militari ed economici, tipo le sanzioni, per mettere in ginocchio governi,che fanno della sopraffazione il loro unico mezzo attraverso il quale potere continuare a governare. I soli aiuti economici, che sono anche stati ridotti, non possono fornire una soluzione definitiva perché, anzi, possono contribuire alla vita dei regimi, che spesso riescono ad impossessarsene. Occorre poi fare pressione su quei paesi che costituiscono le basi di transito dei migranti e che spesso sfruttano queste masse di persone derubandole dei loro averi e costringendo le donne allo schiavismo sessuale. Quello delle bande che si arricchiscono con questi metodi è un problema che deve essere affrontato in maniera dura attraverso il benestare dell’ONU, inoltre chi pratica questi sistemi per finanziarsi è spesso contiguo con organizzazioni terroristiche e quindi lo scopo repressivo sarebbe duplice. Tra gli stati dalle cui rive partono i così detti viaggi della speranza vi sono Libia ed Egitto, che hanno motivazioni differenti per mandare i migranti ad attraversare mari spesso in tempesta. Le autorità de Il Cairo contrastano in ogni modo la vita dei rifugiati sul proprio territorio, non permettendo l’iscrizione nelle scuole ai bambini e non rilasciando permessi di lavoro agli adulti, favorendo così la decisione di tentare migliore sorte verso l’Europa. Fare pressione sull’Egitto, anche tramite gli USA non dovrebbe essere una soluzione impercorribile, mentre per quanto riguarda la Libia è evidentemente necessaria una azione che rinforzi il traballante governo in carica, attraverso la formazione dei corpi di polizia del paese. Queste soluzioni non sono a costo zero, tuttavia sul lungo periodo gli effetti diretti ed indiretti di una limitazione, in senso costruttivo e quindi positivo, della regolamentazione del fenomeno migratorio ricadrebbero sia sui paesi di origine dei flussi, che su quelli di destinazione ed infine sulla stabilità degli equilibri mondiali, oltre naturalmente alla risoluzione dei problemi di ordine etico e morale, che non rappresentano un aspetto secondario della vicenda.

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