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martedì 29 ottobre 2013

Torna alla ribalta la questione dell'arcipelago conteso tra Cina e Giappone

La disputa territoriale per le isole del Mare Cinese Orientale, rivendicate dalla Cina ma amministrate dal Giappone rischia di diventare un pericoloso caso diplomatico tra i due paesi, per l’aggravarsi della tensione verbale in corso tra Pechino e Tokyo. Da una parte il ministro della difesa giapponese ha definito le numerose incursioni navali nelle acque prospicienti le isole, come un atto di aperta minaccia per la pace, mentre il suo omologo cinese ha apertamente parlato di atti di guerra le possibili contromisure che il Giappone potrebbe intraprendere contro i militari cinesi. Le isole contese, chiamate Senkaku dai giapponesi e Diaoyu dai cinesi, sono situate a circa 200 chilometri a nord est di Taiwan ed a circa 400 chilometri ad ovest di Okinawa, la loro posizione è considerata strategica, sia per scopi militari, che commerciali essendo posizionata sulle rotte di passaggio delle navi cargo e sono circondate da un mare, nei cui fondali sarebbero presenti ingenti giacimenti di idrocarburi. Nel mese di settembre del 2012 il governo giapponese aveva nazionalizzato le isole anche mediante l’acquisto da proprietari privati, generando una ondata di proteste molto forte in Cina, dove l’argomento è molto sentito anche a livello popolare, mettendo in pericolo i rapporti commerciali tra i due paesi, che hanno anche uno scambio di un gran numero di immigrati e di attività nei rispettivi paesi. Da quel momento il pattugliamento delle navi da guerra cinesi nella zona è diventato un fatto costante, bilanciato dalla presenza di aerei militari giapponesi. La questione dell’arcipelago conteso non va vista come episodio singolo, fonte idi tensione tra i due paesi, ma va inquadrata nella più complessa strategia cinese, che mira ad una supremazia sui mari intorno alle sue coste, dettata da necessità geopolitiche e militari, ma anche di natura commerciale, con la volontà di avere il controllo delle vie di comunicazioni marittime. Il Giappone, che è una delle nazioni più prossime al gigante cinese, teme questo espansionismo, anche come fattore di compressione economica per la commercializzazione dei suoi prodotti e gode del pieno appoggio degli Stati Uniti nella questione. Per Washington, che ha messo sempre più al centro della sua politica internazionale la regione del sud est asiatico, sia in ragione di contenimento di Pechino, sia per le prospettive di sviluppo dei paesi della zona, che promettono di diventare un mercato in grande espansione e quindi di ampio sviluppo, non si tratta, appunto, solo di appoggiare i suoi alleati storici come il Giappone, ma anche la Corea del Sud, quanto di dare corso in modo concreto alla politica pensata da Obama. Tuttavia la Casa Bianca non può spingersi troppo oltre, Pechino ha già più volte avvertito gli USA, che una eventuale intromissione nella questione sarà considerata una ingerenza negli affari cinesi. Si spiega così l’atteggiamento cauto della diplomazia statunitense mostrato negli ultimi tempi, che, in pubblico, non si è spinto oltre generiche dichiarazioni di appoggio al paese giapponese. La realtà delle cose è, invece, che gli USA seguono lo svolgimento dei fatti molto da vicino ed hanno assicurato il loro pieno appoggio a Tokyo. Del resto le dichiarazioni del premier giapponese Shinzo Abe, che hanno avvertito la Cina, che il perdurare dei suoi atteggiamenti non può risolversi pacificamente, segnala che vi è una ampia copertura degli Stati Uniti. A questo sviluppo dialettico, a cui fanno da corollario ripetute esibizioni di forza, tramite esercitazioni militari ed incursioni navali ed aeree nel teatro naturale dell’arcipelago conteso, vi è il contraltare dell’attuale fallimento diplomatico tra due paesi che non vogliono cedere ed arrivare ad un accordo che possa sanare la situazione, testimoniato dall’assenza totale di incontri tra i due capi di stato. Senza contatti anche ufficiosi tra i due paesi il livello di tensione è destinato a salire, con il rischio costante che un incidente involontario possa innescare una pericolosa reazione a catena; ma anche senza il verificarsi di questa eventualità la situazione più probabile è una intensificazione delle rispettive provocazioni, senza alcun sbocco positivo, in una infinita alterazione dell’equilibrio dei rapporti tra i due paesi.

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