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giovedì 5 dicembre 2013
Il ruolo di Al Qaeda nell'evoluzione della crisi siriana
La programmazione di Al Qaeda, per la globalizzazione della jihad islamica, ha il suo punto fermo nella guerra siriana. Partito come rivolta popolare alle angherie della dittatura di Assad, il conflitto siriano si è evoluto in un insieme di finalità, che stanno diventando sempre più contrastanti. Infatti agli scopi di fare diventare la Siria una democrazia, in una ideale prosecuzione delle intenzioni presenti all’inizio delle primavere arabe, si sono affiancate le tendenze più radicali di quei movimenti a matrice confessionale, che cercano, per il paese siriano, un destino da califfato. Questa divisione profonda tra le forze ribelli, che ha provocato anche conflitti intestini tra le fazioni contrarie che si oppongono a Damasco, ha, per ora, facilitato la difesa di Assad, tuttavia, se fino ad ora questo è stato l’elemento preponderante, attualmente la continua infiltrazione di elementi terroristi, sta provocando l’emergenza del fenomeno della strategia di Al Qaeda, che cerca di consolidarsi nella zona, per stabilire una base da cui perseguire il proprio disegno. Proprio la guerra di Siria testimonia come il movimento terrorista più famigerato sia tutt’altro che sconfitto, ma che, al contrario, dopo un periodo di relativo indebolimento seguito dalla morte di Bin Laden, sia tornato prepotentemente sulla scena. Il fenomeno sembra completamente slegato dagli aiuti che sono arrivati dai sauditi e che l’opposizione democratica invoca in maniera più forte, anche per arginare le milizie islamiche, che hanno un proprio programma, che mira alla destabilizzazione dell’area per arrivare ad uno stato islamico che oltrepassi i confini dal paese siriano. Ayman al – Zawahiri, il leader di Al Qaeda, ha parlato in diverse occasioni dell’intenzione di dominare Damasco e poi estendere la lotta di conquista anche all’Egitto. Questo può anche spiegare l’azione dei militari per arginare il crescente islamismo radicale nella società egiziana. Infine nel quadro strategico dei seguaci di Al Qaeda vi è la sollevazione dell’Iraq sunnita, per la dissoluzione dello stato di Bagdad nel suo assetto attuale. Questo scenario aiuta a fare comprendere il perché dell’accelerata americana nella distensione con l’Iran, che rappresenta il paese guida degli sciti, sempre più nemici dei sunniti. Washington ha bisogno di alleati, anche inconsueti, per arginare l’avanzata di Al Qaeda, che sta reclutando in modo massiccio tra i sunniti di diverse parti del mondo. I due stati, ormai quasi ex nemici, hanno in questo momento obiettivi comuni. Del resto il fenomeno del reclutamento di miliziani stranieri contribuisce a preoccupare, come gli USA, chi teme un allargamento sempre maggiore del terrorismo islamico. Le stime parlano anche di circa 30.000 combattenti stranieri, di cui almeno 1.200 europei, tra i quali spicca il contingente ceceno altamente addestrato e con forte esperienza. La circostanza che favorisce l’ingresso di miliziani dagli altri paesi è l’ormai assoluta ingovernabilità delle frontiere siriane, che permette il transito nei due sensi dei combattenti per la jihad. Ciò potrebbe favorire il tanto temuto allargamento del conflitto, che in realtà è già avvenuto con i ripetuti attentati compiuti in Libano, che hanno riportato il paese dei cedri in una grande situazione di instabilità. La vicinanza di Israele, poi costituisce un elemento di allarme in più, che può determinare una situazione di grave pericolo per la regione: una provocazione mirata di Al Qaeda potrebbe provocare la reazione di Tel Aviv trascinando il medio oriente in una polveriera, che è poi quello auspicato da chi, come Al Qaeda, vuole allargare il conflitto siriano.
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