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mercoledì 8 gennaio 2014

Cause delle problematiche politiche degli stati arabi

Quello che sta succedendo in Iraq, con l’avanzata dei ribelli sunniti, che contesta la sovranità dello stato unitario, governato dagli sciti, deve essere inquadrato in un panorama più ampio, ben oltre i confini fisici e temporali, che limitano, dal punto di vista territoriale e cronologico, quello che sta accadendo. Vi è, infatti, una correlazione con i moti scaturiti dalle primavere arabe ed il conto che la storia ha deciso di presentare per gli effetti lontani della fine delle politiche coloniali, maldestramente decise dalle potenze occidentali ben dopo la fine della seconda guerra mondiale. Guardando dalla sponda settentrionale del Mediterraneo, ed in generale dai paesi occidentali, le rivolte che hanno segnato la fine delle dittature arabe, vi era stata la speranza di un processo di democratizzazione che portasse i paesi affacciati sulle rive meridionali del mare mediterraneo, ma non solo, ad abbracciare in un tempo molto breve modalità di governo e di esercizio democratico, che viceversa hanno richiesto tempi molto lunghi per i paesi europei. C’era stata la chiara illusione che le nuove tecnologie ed i periodi di lunga emigrazione, potessero avere una influenza determinante sul percorso politico di cambiamento di questi paesi. Questa illusione, per certi versi era anche giustificata, perché questi elementi erano ben presenti nelle rivolte, soltanto, che le loro dimensioni erano di gran lunga inferiori all’interno della totalità dei soggetti che partecipavano alla volontà del cambiamento di forma di stato e di governo. Peraltro ha contribuito a questa distorsione ottica il fatto che nelle prime fasi delle rivolte la massa dei ribelli era pressoché indistinta e queste tendenze, che più risaltavano agli occhi di noi occidentali, parevano avere la maggiore influenza e la capacità di direzione ed organizzazione di tutto il movimento anti sistema. In realtà, le elezioni svoltesi successivamente hanno dimostrato come la parte laica e più vicina a forme democratiche intese in modo classico per l’occidente, fosse soltanto la parte minoritaria. La vittoria dei movimenti che si richiamano all’Islam, seppure con sfumature diverse, ha messo in risalto come le società arabe erano intenzionate a prendere tutt’altra strada che quella della democrazia compiuta, dove, cioè chi vince non prende tutto il potere, ma mantiene un rispetto obbligato per le minoranze ed ha un diverso atteggiamento verso i diritti civili. La teoria che le primavere arabe non sarebbero nate per una volontà di andare verso la democrazia ma verso una instaurazione della legge islamica non appare così poi campata in aria. Che si tratti di un progetto ben pianificato o che ha preso una svolta strada facendo è difficile dire, tuttavia, analizzando a posteriori le mosse dei movimenti musulmani in diversi paesi non si può non notare una linea di condotta che presenta diversi tratti in comune. Questo è assodato, seppure con gradazioni differenti, in Tunisia, in Libia, in Egitto, in Siria ed anche in Iraq. Lo schema classico è l’evoluzione della rivolta, che all’inizio unisce i dimostranti della provenienza politica più diversa, che poi tendono a dividersi, anche in maniera violenta, l’esempio più clamoroso è rappresentato dalla Siria, in base alle loro idee di sviluppo della organizzazione statale che deve sostituire quella decaduta. I movimenti confessionali sono consci di muoversi all’interno di società arretrate, dove le capacità tecnologiche o la propensione alla democrazia laica, sono soltanto minoranze, più o meno facilmente da mettere ai margini, che determinano una presa maggiore su popolazioni ancorate alla religione, sia come forma di credo che come sostegno psicologico e sociale per combattere la repressione dei passati regimi e la povertà spesso endemica di zone sottosviluppate. Il terreno di coltura, quindi, per i movimenti politico religiosi favorisce l’affermazione elettorale di partiti che hanno come unico scopo l’instaurazione di leggi ancora meno libertarie di quelle in vigore durante le dittature, basate sulla negazione dei diritti civili e la sopraffazione delle minoranze. In Tunisia questa direzione pare essere stata rallentata dalla possibile adozione condivisa di una costituzione, che, sebbene contenga ancora elementi dubbi, pare dirigersi verso un maggiore rispetto del godimento di diritti politici e civili. In Egitto, viceversa, vi è stato bisogno dell’intervento dell’esercito, con modalità non condivisibili, per arginare l’ingerenza religiosa. Vi sono poi i casi dove le rivolte contro il potere costituito si mescola con gli artifizi della fine del regime coloniale, capace di creare entità statali nuove, che hanno assemblato popolazioni tra loro differenti e spesso nemiche. In Africa i guasti razziali, che hanno provocato i genocidi hanno paternità nelle decisioni prese dalle ex potenze coloniali, capaci di creare degli ibridi senza alcun senso. Nei paesi arabi fino ad ora il collante è stato costituito da dittature, che, alla fine, facevano comodo, per varie ragioni ai paesi occidentali, che quindi, rivestono una duplice responsabilità sul destino di questi paesi. In Libia vi sono potenzialmente tre nazioni in una unica entità statale, che non riesce ad uscire dalla guerra civile, così per lo Yemen, la Siria e lo stesso Iraq, verso il quale si è persa l’occasione di una riorganizzazione statale, dopo la caduta di Saddam, che desse equilibrio e stabilità al territorio. Queste ragioni hanno poi favorito un fenomeno che le dittature riuscivano a tenere controllato, anche se in modo violento, insieme alle differenze etniche: le differenze religiose. L’associazione tra spinta dei movimenti religiosi più determinati, con il crollo delle dittature spinge nella direzione di creare stati più piccoli ma caratterizzati dalla medesima appartenenza religiosa: si tratta di un fenomeno tutto interno all’Islam, dove la dicotomia tra sunniti e sciti rappresenta la fonte di maggiore contrasto, ma che non è la sola, perché esistono altre sfumature della religione di Maometto spesso in forte contrasto tra di loro. Non si deve trascurare che le dittature dei paesi arabi spesso esprimevano o esprimono, per quelle ancora in piedi, una coincidenza tra potere costituito ed appartenenza religiosa ad una derivazione del credo islamico che aveva come prima caratteristica quella di vessare la corrente religiosa avversa. Si tratta del motivo fondamentale che sta caratterizzando la guerra siriana ed i sommovimenti che riguardano l’Iraq. Come si vede la situazione attuale è figlia di diverse cause, che paiono avere preso il sopravvento sulle tradizionali questioni che riguardano le relazioni internazionali, giacché si tratta di dinamiche spesso interne agli stati, che poi hanno, però, ripercussioni importanti sullo scacchiere mondiale.

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