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martedì 11 febbraio 2014

L'accusa dell'India di terrorismo ai militari italiani è pericolosa per i rapporti internazionali

La vicenda dei fucilieri di marina italiani, tenuti prigionieri in India, per un controverso caso di omicidio di marinai indiani, scambiati per pirati, ha preso uno sviluppo inatteso. Le autorità indiane hanno deciso che i due militari saranno giudicati in base alla legge vigente in quel paese sull’attività terroristica; un disposto legale chiamato, per l’appunto, anti terrorismo. La prima anomalia evidente è quella di giudicare un tragico incidente come atto terroristico, ma la seconda, ben più grave sul piano del diritto e dei rapporti internazionali, è quella di mettere sul banco degli imputati, neppure troppo indirettamente , un altro paese, l’Italia, come mandante dell’atto terroristico stesso. Partiamo dalla descrizione di atto terroristico, che è quell’atto o azione violenta volta a propagandare un messaggio politico contro le istituzioni di un paese ed è caratterizzata da un aspetto ideologico ben preciso. Non si capisce, quindi, quale intenzione ideologica possa avere mosso l’Italia a compiere un atto tendente ad influenzare lo stato indiano. L’accusa indiana, è evidente, rappresenta un mero pretesto per coprire vicende politiche interne, che hanno assunto il carattere di faide e che non hanno nulla a che vedere, ne con il diritto internazionale ed, a questo punto, neppure con la legislazione indiana, che, oltre tutto, non era attrezzata a gestire la vicenda, avendo costituito un tribunale speciale per dirimerla, del tutto assente nelle leggi del paese fino a questo momento. D’altra parte proprio la gestione della vicenda da parte dell’India, che non ha assicurato, ne sembra assicurare attualmente la certezza del diritto, sollevando continuamente eccezioni e utilizzando continui rinvii, pone il paese indiano come non affidabile anche in una ottica di futuri accordi di qualsiasi tipo, ivi compresi quelli commerciali. In una visione futura appare essenziale, per la comunità internazionale tutta, che la vicenda rientri nell’alveo del diritto internazionale e che l’India sia costretta con tutti i mezzi, pacifici si intende, a riportare la questioni nelle sedi opportune, che non sono il suo precario tribunale speciale, per non creare un pericoloso precedente, che potrebbe essere sfruttato in diverse future occasioni singole e peculiari e potrebbe diventare causa di degenerazione di rapporti internazionali con conseguenze anche gravi. Va riconosciuto che in tutto questo tempo l’Italia ha avuto un comportamento ben poco oltre il dilettantismo, contraddistinto da un attendismo giustificato probabilmente soltanto dalla paura di vedersi interrompere accordi commerciali in un momento di grave crisi. Tuttavia anche le istituzioni sovranazionali, per prime le Nazioni Unite, hanno sottovalutato la vicenda esitando ad un intervento diretto che potesse fare sentire tutto il peso dell’influenza del Palazzo di vetro. Per questo atteggiamento si può pensare al paese indiano come uno dei principali che richiedono la riforma del Consiglio di sicurezza, in cui l’India ambisce ad un posto permanente, che alla luce dei fatti sembra tutt’altro che meritato. Pare probabile che i vertici dell’ONU non abbiano voluto interferire per non avere possibili successive ritorsioni in caso di successo delle iniziative indiane. Un altro soggetto che è rimasto troppo silente è l’Unione Europea, troppo preoccupata ad imporre vincoli di bilancio tremendi con effetti deleteri sui suoi cittadini, anziché fare rispettare i suoi diritti, che sono anche quelli dell’Italia, in campo internazionale. C’è voluto che l’arroganza indiana passasse un limite posto ben oltre la ragionevolezza perché finalmente lo sdegno di Roma e di Bruxelles prendesse corpo: in questo momento quello che l’India sta rischiando è di rimanere penalizzata nelle sue tante iniziative internazionali che gli sono necessarie per incrementare il suo prodotto interno lordo, ma questo moralmente non basta, se non si aggiunge la condanna di altri stati all’attentato delle regole comuni di convivenza dei rapporti internazionali che Nuova Delhi sta portando avanti. Quello in gioco va ben oltre l’accertamento della verità di un episodio drammatico, peraltro segnato da ambiguità investigative e di gestione della polizia indiana, che dovrà comunque esserci, ma con tutte le specificità e le particolarità che il caso stesso impone per gli attori coinvolti.

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