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mercoledì 5 marzo 2014

L'india si avvia al voto

Ad un mese dall’inizio del complicato sistema elettorale, l’India si prepara all’appuntamento in un clima di grande incertezza. Le elezioni coinvolgeranno circa 814 milioni di persone, 100 milioni in più rispetto alla consultazione del 2009, che saranno divise in 930.000 seggi elettorali, su di un territorio che parte dalla base della catena Himalayana ed arriva fino alle coste meridionali, per una superficie di oltre 3.200.000 chilometri quadrati. Se l’inizio delle elezioni è fissato per il 7 aprile, il risultato si conoscerà soltanto nella giornata del 16 maggio. Le due formazioni che dovrebbero sfidarsi per la vittoria finale sono il Partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party ed il partito del Congresso, movimento fino a questo momento al governo. I risultati dell’azione del partito del Congresso, al potere nel paese, sono stati deludenti: in campo economico la crescita ha rallentato, attestandosi al 5%, il fenomeno endemico della povertà, nonostante i programmi, non è stato affatto sconfitto e la corruzione si è mantenuta alta, influendo direttamente nelle condizioni del paese. Sulla corruzione sono stati a lungo attesi provvedimenti decisivi, che hanno, invece, subito continui rinvii, fino all’approvazione di una legge sull’argomento, avvenuta a pochi mesi dalla scadenza elettorale. Questo episodio ha rivestito una doppia valenza per un giudizio negativo da gran parte dell’opinione pubblica: sia circa l’impunità dei funzionari in carica, sia circa l’approvazione a ridosso dell’appuntamento elettorale, che è stata vista come una sorta di pubblicità a favore del partito del Congresso. Tutti questi elementi autorizzano a credere per un pronostico a favore del partito indù Bharatiya Janata Party. Tuttavia la natura religiosa della formazione politica, mette in apprensione diversi settori della società indiana, come i moderati e gli islamici. Questi ultimi imputano al leader di Bharatiya Janata Party, Narendra Modi, la collusione con settori estremisti della religione indù, che nel 2002, furono coinvolti negli scontri a Guaiarat, che provocarono più di 1.000 morti, perlopiù di religione musulmana. Questi incidenti accaddero in contemporanea proprio con l’arrivo al potere nella regione da parte di Modi. Il partito del Congresso oppone una figura nuova, Rahul Gandhi, di 43 anni, erede della storica dinastia che ha governato l’India a più riprese. Per gli occidentali una vittoria di Gandhi rappresenterebbe un fattore di maggiore stabilità, in uno scenario futuro dove l’India assumerà sempre più importanza in chiave anti cinese e come possibile paese stabilizzatore di un’area dove la presenza degli integralisti islamici preoccupa da sempre Washington. Gli USA non vogliono una esasperazione del confronto tra indù e musulmani, che potrebbe generare un ottimo terreno di coltura per il terrorismo ed andare ad affiancare situazioni pericolose già presenti come il Pakistan e l’Afghanistan; anzi l’India dovrebbe proprio assumere un ruolo determinate nella lotta al terrorismo internazionale nell’ottica statunitense. Ma questo è possibile soltanto con un governo moderato, che possa rappresentare le diverse confessioni ed etnie del paese. Fare una previsione certa comunque impossibile: tradizionalmente i sondaggi indiani non sono affidabili e comunque data la grande frammentazione del voto su base regionale, il governo non potrà che uscire da un gioco di alleanze con le formazioni locali.

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