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martedì 22 aprile 2014

Il pericolo di una escalation nucleare proveniente dal risultato delle elezioni indiane

Nelle elezioni indiane spunta un nuovo motivo di apprensione: l’apertura di un nuovo fronte nucleare. Quello che viene temuto dagli analisti è che con la vittoria del favorito, il leader nazionalista indù Narendra Modi, il paese indiano possa rivedere la propria politica nucleare, come arma contro i potenziali conflitti con Pakistan e Cina. Una frase generica del programma del partito indù dice di volere studiare la politica nucleare indiana per aggiornarla ai tempi attuali. Una frase che può volere dire tutto e niente, ma che professata da un partito nazionalista può suonare come campanello d’allarme in una zona da sempre ricca di contrasti. Gli attriti tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, hanno rischiato, in tempi recenti, di evolversi in conflitti dove l’arma nucleare poteva essere concretamente impiegata: si tratta della guerra del Kargil del 1999 e dell’attentato al parlamento indiano avvenuto nel 2001. Se i fondamentalisti indù dovessero arrivare al governo con una ampia maggioranza, il rischio di minaccia nucleare è ritenuto più che concreto. Tuttavia secondo Modi, l’India resterebbe comunque legata al principio di non essere la prima ad usare ordigni atomici in un potenziale conflitto, ma soltanto come possibile risposta. Resta però il fatto che l’arsenale nucleare è ritenuto essenziale perché l’India venga considerata una grande potenza; questo assunto induce a temere una possibile corsa ad aumentare gli armamenti atomici, scatenando, di conseguenza, una rincorsa all’incremento degli arsenali nucleari anche nei paesi vicini. Si andrebbe così incontro ad una fase di crescita degli armamenti nucleari che andrebbe a scatenare profondi dissidi internazionali sul piano diplomatico. Occorre tenere presente che in questi anni si è sviluppata una avversione anche con la Cina, basata su basi economiche, ma che potrebbe essere destinata ad evolversi anche sul piano militare; d’altra parte le rispettive strategie di alleanze hanno delineato un quadro netto sugli schieramenti in campo. Se l’India è nemica del Pakistan, la Cina non ha esitato a stringere accordi con questo paese, ma il Pakistan ha dei dissidi con l’Afghanistan, che ora ha sviluppato legami particolari con l’India. Inoltre la pesante spesa militare sostenuta da Pechino, nell’ottica di potere affermarsi con grande potenza, ha messo in allarme non soltanto i paesi del sud est asiatico, ma anche l’India, che ha nei suoi piani lo sviluppo di un missile a lungo raggio capace di portare una testata nucleare. La regione è destinata ad una fase storica di forte tensione se i nazionalisti indù non verranno contenuti da altre forze, sul piano interno e dall’alleato statunitense, su quello internazionale. Ma la natura profondamente religiosa del partito indiano destinato a vincere le elezioni non potrà che favorire questi contrasti, specialmente con il Pakistan, stato dove l’elemento musulmano è sempre più importante. Il fattore religioso rischia di diventare così un elemento aggravante nei rapporti tra i due paesi, perché in entrambi appare sempre più radicalizzato. L’allargamento della disponibilità della tecnologia bellica nucleare mette a repentaglio la pace in varie zone del mondo odierno, molto di più che non in quello degli anni della guerra fredda, dove il controllo della forza atomica era riservato a due soli protagonisti e rende più insicure zone, come quella tra India e Pakistan, oggetto di annose diatribe spesso interessate da conflitti armati. La necessità di una moratoria efficace degli ordigni atomici su scala mondiale, si rende ancora più necessaria, ma sarebbe opportuna una opera di prevenzione che dovrebbe partire fin da subito, cioè ben prima di conoscere il risultato delle elezioni indiane, per potere scongiurare la partenza di una potenziale e pericolosa deriva.

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