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venerdì 4 aprile 2014

In Italia, la democrazia è in pericolo?

Le riforme che si stanno concretizzando in Italia, presentano aspetti che si possono definire allarmanti per la democrazia. Dietro alle critiche ad un personale politico effettivamente poco affidabile, vi è il rischio di una diminuzione sensibile della democrazia, un aspetto da non sottovalutare per tutto il movimento dei paesi dell’Unione Europea. Perché, con tutto il rispetto, vi è una grande differenza di peso tra paesi come l’Ungheria e l’Italia. La situazione di Roma è ben più grave dei pericoli minacciati dal populismo perché la forza politica che maggiormente promuove queste riforme si definisce come progressista. Siamo in una sede istituzionale e non in una tribuna elettorale, dove i candidati fanno promesse, in Italia si è passati all’azione, continuando una linea che aveva già compresso le prerogative democratiche dell’esercizio delle funzioni elettorali, attraverso l’applicazione di una legge che impedisce la scelta del candidato da parte del cittadino elettore, consentendogli di votare la sola lista elettorale. Questo aspetto ha scatenato nel tempo le rimostranze di diversi settori politici e della società civile, che sono sfociati in un ricorso presso la Corte Costituzionale, che lo ha accolto. La modifica della legge elettorale vigente prevede di aggirare l’ostacolo con piccoli collegi, espediente che consente ai partiti di mantenere il potere di nomina dei candidati. Poco importa se alcune forze politiche, tra cui quella al governo, usino il metodo delle consultazioni primarie per permettere ad iscritti e simpatizzanti una scelta preventiva per determinare i candidati. Si tratta pur sempre di una procedura al di fuori della legge, che, in linea teorica, può essere gestita, soprattutto in caso di contestazioni, da elementi del partito in questione, chiaramente fuori dal recinto istituzionale. Il potere di nomina dei partiti costituiva, quindi, già una alterazione palese del procedimento democratico, che poteva indicare l’embrione di una evoluzione in senso oligarchico della gestione del potere, in mano ad organismi, i partiti, che non devono rispondere ad alcuna disciplina sancita dalla legge, che ne vigili il corretto comportamento democratico al loro interno. Si è, cioè, di fronte ad un paradosso costituito dall’anomalia, che il potere in democrazia è gestito da organismi che al loro interno possono essere regolati da normative palesemente opposte alle procedura democratiche. Il vento riformista applaudito da tutti, sia all’interno del paese, che all’esterno, ha cercato di avere un consenso ampio , non tanto dalla società civile, quanto dai partiti stessi, che pur su posizioni politiche anche opposte, stanno trovando accordi che gli permettano di non rinunciare al loro potere di indirizzo. Il vecchio adagio che dice che per non cambiare niente occorre cambiare tutto esplica bene l’attuale situazione italiana. Il sistema politico dell’Italia si basa su di un bicameralismo perfetto che prevede eguali funzioni per i due rami del parlamento. Si è discusso molto su questa peculiarità, che prevede un raddoppio delle spese ed un rallentamento del processo legislativo, questione di primaria importanza in un mondo dove la velocità di decisione costituisce un fattore di sempre maggiore importanza. Le critiche di cui sopra, sono condivisibili, tuttavia, una delle ragioni dei padri costituenti, per il bicameralismo perfetto, è stata quella di assicurare un reciproco controllo delle due camere per sorvegliare il funzionamento democratico delle istituzioni. Se vi è una necessità di cambiare le modalità dell’iter legislativo perché non cambiare le competenze e le attribuzioni delle due camere pensando a specializzazioni particolari in alcuni ambiti precisi e mantenendo così il Senato come organo elettivo, anziché farne un consesso di nominati con poca valenza politica? Inoltre se il problema sono i costi, questione che effettivamente esiste, perché non abbassare contemporaneamente quelli di entrambi i rami del parlamento fino a raggiungere il budget desiderato? A queste domande non sembrano intravedersi risposte adeguate, se non l’intento di abbassare il tasso di democrazia nel paese. A rafforzare questa ipotesi vi è anche il quorum di voti che permetterebbe, sostanzialmente, ad una minoranza di governare. Occorre ricordare come gli ultimi tre presidenti del Consiglio, e quindi i relativi governi non siano stati frutto di elezioni, neppure con il tanto, giustamente, vituperato sistema elettorale condannato dalla Corte costituzionale, ma siano stati il prodotto di accordi partitici favoriti dal Presidente della Repubblica. L’ultimo governo, poi costituisce un caso ancora a parte: l’attuale primo ministro italiano non è stato eletto, se non, come segretario del suo partito, in una elezione primaria, che ha visto la partecipazione di circa il 2% del corpo elettorale italiano, con una affluenza molto bassa anche tra gli iscritti ed i simpatizzanti del partito. Forte di questa investitura ha rovesciato un governo guidato da un esponente del suo stesso partito, in maniera improvvisa e per certi versi inaspettata. Questo biglietto da visita non presenta in modo qualificato, per l’aspetto della democrazia, l’attuale presidente del Consiglio italiano. Da più parti è stato rilevato come l’attuale governo italiano porti avanti una politica, in tema di esercizio democratico, molto rispondente alle volontà della troika europea ed addirittura agli intendimenti di una famosa agenzia di rating americana, che rilevò come il processo democratico dei paesi occidentali, specialmente di quelli del sud Europa, fosse deleterio per l’economia. Certamente le necessità di velocizzare il processo legislativo è un aspetto condivisibile, mentre non è assolutamente condivisibile porre in essere aggiustamenti del sistema politico che comprimono la democrazia. Quello che appare è che si pensi di dare precedenza, nella migliore delle ipotesi, alla condizione economica della popolazione sacrificando gli aspetti democratici in ragione di un maggiore decisionismo. Non si comprende, però, come questi aspetti non possano essere coniugati, procedendo con una effettiva razionalizzazione dell’intero sistema, sia politico che economico. La discussione è sicuramente troppo vasta per essere esaurita in poche righe, ma devono essere considerati una moltitudine di soggetti che possono alterare sia l’effettiva democrazia, che la percezione di essa; organi di stampa, agenzie di rating, soggetti emergenti dotati di grande visibilità possono realmente distorcere la prospettiva di una effettiva vigenza della democrazia. Il problema non è da sottovalutare perché la platea è ormai assuefatta ad un consumismo che toglie ogni elemento critico ed è perciò più facilmente plasmabile; infatti i modi del governare fatti di slogan assolvono questo compito secondo la logica dello sfruttamento dell’ignoranza. In questo contesto l’eliminazione di fonti di pluralismo istituzionale, come il Senato, ma anche le Province, fatta salva la necessità della loro modifica, rappresentano un chiaro segno di decadimento democratico, che occorre combattere per non incorrere in una pericolosa deriva.

1 commento:

  1. Io a questa domanda sento fortissima la necessità di chiedere se mai sia esistita la Vera Democrazia.
    Il brutto è che il Sistema abile, infingardo e corrotto riesce a farci credere, o lo vorrebbe, di vivere in democrazia...
    Viviamo in continua coercizione, sempre sotto indicazioni od obblighi da rispettare, azioni o iniziative da intraprendere...ma quale democrazia???
    Ipocrisia allo stato solido!!!
    erie5

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