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giovedì 22 maggio 2014
Si può conciliare islamismo e democrazia?
Le vicende politiche nei paesi musulmani pongono ancora una volta l’interrogativo se è conciliabile la democrazia con la fede musulmana. L’intemperanza e l’attivismo dei gruppi come Boko Haram, totalmente inconciliabile con una visione laica dell’esercizio del potere, la continua instabilità in alcuni paesi costieri del Mediterraneo del sud, come Libia ed Egitto, che devono ricorrere a soluzioni militari, altrettanto negative sul piano dei diritti, per contrastare l’invadenza religiosa sul piano politico, la strategia di paesi assolutisti, come l’Arabia Saudita, che al loro interno esercitano un potere di tipo feudale, fondato sul censo e sulla feroce applicazione dei precetti religiosi, ma che, nel contempo, cercano di influenzare in modo opposto, per non essere travolti dai nuovi movimenti religiosi i paesi limitrofi, fanno insorgere diversi dubbi sulla convivenza tra pratica democratica ed islamismo. La prima cosa da considerare è l’evidente scarso peso dei musulmani moderati, i più inclini ad una instaurazione di un rapporto proficuo con l’applicazione di un potere democratico. Schiacciati tra una parte laica emergente, ma molto lontano dall’essere maggioritaria, che potrebbe essere il partner ideale con il quale intraprendere un percorso comune e i ben più potenti fondamentalisti, i moderati islamici, pur annoverando tra le proprie fila esponenti famosi della società dei loro paesi, non riescono a fare breccia nella larga parte della popolazione, che, se consultata in una tornata elettorale, sceglie i movimenti più integralisti. La scarsa penetrazione nelle società dei paesi attraversati, ad esempio, dalle primavere arabe è dovuta alle differenze di censo e di reddito, che hanno formato una visione, forse non del tutto deformata, non conforme alle esigenze della gran parte della popolazione. Vi è da considerare che movimenti come i Fratelli Musulmani, hanno avuto un ruolo determinante nell’assistenza materiale alla popolazione, guadagnandosi la fiducia dei ceti più bassi. L’impronta religiosa, poi, è sempre rimasta sullo sfondo, come unica alternativa psicologica al potere dittatoriale, anche di quei paesi che, grazie alla presenza di regimi autoritari, riuscivano a contenere la presenza musulmana sulle loro nazioni. Scartata, quindi, la possibilità di una intermediazione dei moderati, si deve prendere in analisi la possibile influenza dei laici. Ma qui la situazione sembra essere ancora peggiore, spesso la lontananza dei leader delle formazioni laiche, dovuta ad esili causati dalla presenza delle dittature, non ha permesso una sufficiente organizzazione ed una conseguente penetrazione nei tessuti sociali, lasciando un ruolo importante, ma tutto sommato marginale, alle forze laiche sui piani politici interni. Questa analisi, che riguarda sia i moderati islamici, che i laici, può essere applicata, con alcune distinzioni, ma per vie generali, in diversi paesi dove l’intromissione religiosa dei gruppi musulmani più radicali sul piano politico è presente. Certamente vi sono altri fattori che concorrono a questa impostazione: la presenza dell’appartenenza tribale, spesso mischiata con l’elemento religioso, la distribuzione della ricchezza, spesso accentrata in mano a piccoli gruppi o famiglie, legate a rappresentanti del clero musulmano, che consente una gestione del consenso non certo trascurabile. L’alternativa più valida, sul piano pratico ma non su quello morale, è stata rappresentata finora dalla presenza delle forze armate, che hanno sostenuto il ruolo di unico contrappeso efficace allo strapotere religioso. Spesso le posizioni di partenza parevano essere concilianti con l’aspetto democratico, in quanto l’intervento delle forze armate pareva essere teso a spezzare l’assolutismo religioso, ma con il passare del tempo gli eventi sfociavano nell’instaurazione della legge marziale, addolcita da elezioni farsa. Questo scenario è stato quello dell’Egitto e sembra essere quello su cui si avvia la Libia. Di fronte a questa panoramica gli stati occidentali devono ripensare i loro rapporti, spesso necessari per ragioni economiche, con gli stati musulmani. Se prima si tolleravano i dittatori di turno, che assicuravano un controllo sui movimenti religiosi e quindi sugli estremisti, ora la situazione è che al governo dei paesi arabi vi sono spesso esponenti di questa parte politico religiosa. La speranza dell’instaurazione di democrazie di tipo occidentale è andata frustrata ed i motivi per cui non è andata a buon fine devono essere oggetto di indagine per evitare l’esasperazione dei rapporti e l’instaurazione di un modus vivendi, ma questo non è sufficiente: si deve andare oltre e cercare di comprendere le ragioni ostative a fondo. Se da un lato vi era la prospettiva di un cambio di indirizzo da parte delle nuove generazioni, spesso si è riscontrato che l’incremento degli aderenti ai gruppi fondamentalisti, anche impiegati in azioni di guerra al di fuori del proprio paese, si registra in fasce di età più basse; questo aspetto complica ancora di più la possibilità di una instaurazione dei valori democratici, se non si registra una risposta positiva nelle nuove generazioni. Al momento l’aspetto dominante pare proprio essere quello di una mancata convergenza tra l’islamismo e la democrazia, ma ciò deve indurre i paesi occidentali a non irrigidire i loro comportamenti, ma cercare modalità nuove di sviluppo e di dialogo per favorire lo sviluppo democratico nei paesi musulmani.
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