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lunedì 5 maggio 2014
Ucraina: i punti oscuri nella strategia russa
La strategia russa in Ucraina prevede ora di prendere le distanze dalle milizie filo russe. Pur sottolinenando, come ha fatto il portavoce del Cremlino, che la responsabilità dei recenti episodi di violenza è da attribuire agli stati occidentali, Mosca sta prendendo le distanze da chi ha scelto di seguire la via federalista con le armi in pugno. Si tratta di una presa di distanza tardiva dopo che la Russia, dopo avere preso la Crimea, ha sobillato, anche con propri agenti, le popolazioni filo russe dell’Ucraina orientale, arrivando a schierare circa 40.000 effettivi delle sue forze armate appena immediatamente oltre la linea di confine con Kiev. Il risultato è stato quello di avere vreato i presupposti una guerra civile, che, nel migliore dei casi, lascerà l’Ucraina profondamente destabilizzata ed indebolita internamente. Poco importa se i filo russi siano stati usati per gli scopi del Cremlino ed ora rischino ritorsioni pesanti dalle forze ucraine. Certo si può anche contemplare l’ipotesi che la tattica russa sia sfuggita al controllo di Mosca a causa dell’afflusso, nelle regioni orientali, di combattenti di nazionalità differente ed anche sospettati di terrorismo perché provenienti dalle regioni del Caucaso del nord. Anche il problema del mancato coinvolgimento completo della popolazione delle regioni orientali, al contrario di quanto accaduto in Crimea, è un fattore che non poteva essere contemplato dagli strateghi russi, per un esito finale favorevole. Tuttavia la presenza di questi fattori non intacca la tattica messa in campo da Mosca, che prevedeva una gamma di risultati differenti. Se il successo ottenuto in Crimea non era facilmente ripetibile, la creazione di una situazione che portasse ad una instabilità molto grave, poteva essere un risultato tutto sommato non difficile da conquistare. Occorre tenere presente che, per Putin, era fondamentale indebolire il senso di accerchiamento occidentale che pativa la Russia e per conseguire questo obiettivo non si poteva che passare da una Ucraina, tentata dall’ingresso nella UE e quindi nell’orbita della NATO, ma attraversata da enormi difficoltà economiche con tensioni etniche e sociali da aggravare facilmente. La conquista della Crimea ha rappresentato il dominio effettivo russo sulla principale base militare di Mosca, ma anche l’avvio della destabilizzazione di Kiev su grande scala ed ha messo allo scoperto la scarsa unità di intenti tra USA e UE, segnando per Putin un successo internazionale indiretto, che ha mitigato, per ora, l’isolamento internazionale e le sanzioni. Ora il Cremlino può permettersi di addossare all’occidente la responsabilità della situazione in Ucraina, nonostante sia stata Mosca a provocarla, proprio per l’atteggiamento timido e non univoco delle potenze occidentali, esercitando la propria influenza, come mediatore, sul rilascio degli osservatori dell’OCSE. L’atteggiamento russo resta però equivoco e sostanzialmente inaffidabile per una trattativa per la pace, se al momento Putin sembra uscire vincitore, la sensazione è che sul lungo periodo la Russia dovrà inventare altre strategie per uscire dalle limitazioni che si è auto imposta per perseguire una politica troppo nazionalista con nostalgie di grande potenza primaria, grado che appare definitivamente perduto, non tanto dalla perduta influenza sull’Europa orientale, quanto dal non avere compreso le sfide della globalizzazione. Se gli USA sono rimasti la prima potenza mondiale lo devono, oltre a risorse enormi, ad una migliore capacità di adattamento, pur con tutte le difficoltà, ai nuovi scenari mondiali, che Mosca ha dimostrato di non avere, essendo, ormai, ben più di un gradino sotto l’importanza conquistata da Pechino, che, tuttavia, non è ancora dal punto di vista politico, sullo stesso piano di Washington.
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