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mercoledì 4 giugno 2014
Sette paesi europei si uniscono contro l'estremismo islamico di ritorno
Il fenomeno dell’estremismo islamico che spesso sfocia nel terrorismo di matrice religiosa è sempre più un fattore di allarme per gli stati europei. La questione coinvolge soprattutto il reclutamento di combattenti provenienti dal vecchio continente, destinati alla guerra di Siria, non solo sul fronte opposto al regime, ma anche all’opposizione democratica ed anche verso le aree russe del Caucaso, dove l’estremismo si coniuga con l’appartenenza religiosa, come fattori aggreganti contro la stretta di Mosca. Il problema riguarda sia i flussi di andata, che di ritorno, di questi combattenti, anzi, per la sicurezza interna europea, il fattore di maggiore preoccupazione riguarda proprio chi torna dal fronte, che, spesso, si contraddistingue per un alto addestramento militare ed un elevato livello di indottrinamento religioso. Queste persone accusano uno spaesamento notevole al ritorno nelle società europee, delle quali non condividono i valori ed i modi di vita. Nella migliore, ma sempre negativa, delle ipotesi si trasformano essi stessi in reclutatori, ma nella peggiore possono diventare terroristi pronti a colpire anche obiettivi apparentemente non sensibili. Si configura uno stato dove possono convivere due diversi indirizzi: da una parte anche una singola persona può costituire una cellula dormiente, attivabile in qualsiasi momento, impossibile da controllare e che può ricoprire una gamma di ruoli che va da chi compie l'attentato, senza intenti suicidi, fino al kamikaze, dall’altra un singolo completamente sciolto da ogni organizzazione che pensa e progetta autonomamente il proprio attentato. Queste casistiche costituiscono un potenziale altamente pericoloso per le società occidentali, proprio perché al di fuori di reti organizzative e quindi praticamente non preventivabili, in modo da non consentire una azione repressiva anteriore all’atto terroristico. Gli analisti ritengono che rientri in una di queste casistiche il recente attentato al museo ebraico di Bruxelles. Una strategia comune a livello UE doveva essere già programmata attraverso incontri istituzionali, ma proprio l’attentato avvenuto in Belgio ha determinato l’urgenza di una prima presa di contatto da parte di sette paesi europei, che si sentono maggiormente vulnerabili al fenomeno. Si tratta di Francia, Belgio, Spagna, Germania, Regno Unito, Olanda e Danimarca. L’intenzione dei ministri degli interni di questi stati è quella di trovare una intesa comune sull’inasprimento delle pene alle cellule estremiste ed insieme favorire lo scambio di informazioni tra gli organismi inquirenti. La stima dice che sono oltre 2.000 i combattenti tornati dalla guerra siriana, costoro, una volta rientrati in Europa, godono della libera circolazione nel continente europeo, in virtù del trattato di Schengen. Un primo intervento individuato consiste nel modificare le modalità di uso del registro passeggeri, previsto fin dal 2011, che doveva costringere le compagnie aeree alla fornitura dei dati alle autorità, di ogni passeggero con il dettaglio delle provenienze e delle destinazioni. La UE ha già questi dati e li fornisce agli USA, ma paradossalmente non li condivide al suo interno, fra i suoi stati membri per ragioni di privacy. Si comprende come un accesso illimitato a questi archivi, che contengono anche i dati biometrici dei viaggiatori, da parte delle polizie dei diversi stati possa costituire un elemento di indagine preventiva di assoluto livello. Anche da qui passa l’effettiva unità dell’Unione Europea.
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