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giovedì 10 luglio 2014
La stabilità mondiale in pericolo per la situazione israelo-palestinese
La sempre più complicata situazione tra israeliani e palestinesi ha delle paternità comuni, da ricercare nelle posizioni più estreme dei rispettivi schieramenti. Entrambe sono sfavorevoli ad accordi con la parte avversa ed operano con metodologie simili per ostacolare il processo di pace. C’è da dire che la maggiore rigidità del governo di Tel Aviv non aiuta Abu Mazen a contrastare l’azione degli estremisti di Hamas, che continuano a vedere violato il territorio della Cisgiordania con sempre maggiori insediamenti. Ora si tende ad identificare il fatto scatenante della situazione di crisi nell’uccisione dei tre ragazzi israeliani in Cisgiordania e la successiva vendetta, che ha determinato il rapimento e l’assassinio del ragazzo palestinese ad opera di coloni ultranazionalisti; in realtà questi tragici fatti sono l’epilogo di una politica sbagliata tra le rappresentanze dei due schieramenti, ma soprattutto di Israele, che non si è fermato nell’espansione degli insediamenti e no ha compreso come l’unione politica tra Al Fatah ed Hamas potesse essere una occasione di dialogo. Il governo di Tel Aviv non ha saputo produrre una politica di repressione delle frange più nazionaliste, perché in ostaggio del partito delle colonie, che ha impedito una moratoria allo sviluppo degli insediamenti. Questa motivazione continua da troppo tempo ad essere centrale e determinante nello sviluppo della situazione: i fallimenti di John Kerry, il Segretario di stato USA, stanno a dimostrare l’impotenza della politica internazionale nella questione. Se, da un lato, Israele continua formalmente ad aderire al principio dei due stati su di un territorio, in realtà fa di tutto per andare nella direzione opposta, violando ripetutamente, ed impunemente, i trattati internazionali ed applicando un uso della forza spropositato, diretto contro la globalità del popolo palestinese. Questo atteggiamento costituisce una fonte di esasperazione, che non viene recepita adeguatamente neppure dai media internazionali. Pochi giorni prima dell’assassinio dei tre ragazzi israeliani, cecchini israeliani hanno colpito, uccidendoli, due giovani palestinesi, eppure nessuna enfasi è stata data alla notizia. Con questo non si vuole giustificare assolutamente l’accaduto, che costituisce, anzi, un pretesto per la repressione israeliana. Chi, dei palestinesi, ha compiuto il gesto infame, potrebbe avere calcolato che la risposta di Israele potrebbe influenzare la reazione dei musulmani, anche quelli dello Stato della Siria e del Levante, per scatenare un conflitto regionale dagli esiti imprevisti, ma tra cui potrebbe rientrare una drastica diminuzione della libertà di azione di Tel Aviv. Questa soluzione sarebbe comunque una mossa della disperazione, perché obbligherebbe gli USA a schierarsi al fianco di Israele sul fronte militare, anche se, è noto, che per Obama un tale coinvolgimento sarebbe molto sgradito. Proprio in questa ottica, però, non si può non notare la mancanza di una azione diplomatica americana tesa a raffreddare la situazione, in una panoramica più vasta che comprenda l’iniziativa per impedire un allargamento del conflitto nascente e della possibilità che possa unire le varie situazioni di instabilità dell’area, come la Siria e l’Iraq. Per quanto riguarda Israele, sembra che la sua azione sia concentrata esclusivamente sulla protezione dei propri interessi sul proprio fronte interno, senza considerare le ricadute che queste iniziative possono avere sulla situazione internazionale; Tel Aviv sembra muoversi in un mondo parallelo, limitato ai propri confini o supposti tali, dove opera senza alcuna cautela, caratterizzando la propria azione con una violenza istituzionalizzata, che non esita a comprimere i diritti civili più elementari della popolazione palestinese in modo continuato. La minaccia di un intervento di terra, come rappresaglia al lancio di missili dalla striscia pone il mondo di fronte all’esigenza di schierarsi ed operare in favore della pace per evitare conseguenze sempre più gravi che possano mettere in pericolo gli equilibri mondiali, questo a partire dall’ONU, che, fino ad ora, è rimasto spettatore silente, confermando la propria inutilità come, ormai accade troppo spesso in situazioni analoghe.
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