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venerdì 29 agosto 2014
Abu Mazen rinforza la sua posizione di leader più importante dei palestinesi, rivendicando le frontiere con Israele fissate negli accordi del 1967, per la creazione dello stato della Palestina e riaprendo un dibattito, che mette in difficoltà Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha rifiutato l’ipotesi di un confronto sulla base della delimitazione fissata nel 1967, adducendo la scusa della sicurezza nazionale e dell’indivisibilità di Gerusalemme come unica capitale dello stato di Israele. In realtà nei trattati a cui fa riferimento Abu Mazen, la parte est della città di Gerusalemme doveva essere assegnata ai palestinesi per diventare la loro capitale. La presa di posizione di Netanyahu, sui confini nazionali, rivela la debolezza del premier israeliano, che ha visto scendere il suo gradimento dopo il conflitto di Gaza, per ragioni opposte: da un lato la sinistra, che temeva l’interruzione del rapporto con i palestinesi, dall’altro la destra per avere negoziato con Hamas il cessate il fuoco; il governo israeliano conta molto sull’appoggio popolare a favore degli insediamenti e riconoscere le istanze palestinesi abbasserebbe ulteriormente il consenso. La mossa di Abu Mazen, però obbliga il governo di Tel Aviv ad un incontro con i negoziatori statunitensi, che non vedono altra soluzione che quella dei due stati per chiudere la questione tra israeliani e palestinesi; questo anche a causa dell’invio di emissari palestinesi direttamente a Washington per sollecitare la ripresa delle trattative. L’intenzione è quella di fissare un calendario del processo di costituzione dello stato palestinese, senza dare modo al governo di Israele di rimandare la questione. Il punto è centrale perché ha costituito il principale fondamento della tattica di Netanyahu relativamente al processo di pace ed è stato fonte di scontro più volte con la Casa Bianca. Abu Mazen, che conosce questi dettagli, si trova così allineato al volere di Kerry, che ha spinto più volte per fissare scadenze certe per chiudere la contesa. Il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese è anche conscio del pessimo livello dei rapporti tra Washington e Tel Aviv, che potrebbero registrare un ulteriore abbassamento, nel caso in cui Netanyahu continuasse a persistere nel suo atteggiamento di chiusura verso le trattative per la nascita dello stato palestinese. In questo momento è interesse maggiore di Israele affinché i rapporti con gli USA non subiscano peggioramenti, piuttosto che il contrario, data la preoccupazione crescente dell’amministrazione Obama verso le questioni del califfato e dell’Ucraina. Abu Mazen punta a forzare i tempi in un momento nel quale la debolezza delle relazioni tra Israele e Stati Uniti, permette di sfruttare a vantaggio dei palestinesi la propensione della Casa Bianca alla definizione della questione. Per rafforzare la propria posizione in patria ed all’estero Abu Mazen non ha mancato di criticare pesantemente l’operato di Hamas, che ha firmato una tregua che poteva siglare molto prima, risparmiando morti e sofferenze al popolo della Striscia. Si tratta di una sconfessione completa dell’operato del gruppo islamico, come, peraltro già avvenuto durante le trattative di pace. L’azione di Hamas, ha affermato il capo dell’ANP, ha messo in serio pericolo il processo di costituzione dello stato palestinese e dell’unità nazionale; queste affermazioni hanno lo scopo di screditare Hamas, in un momento in cui molti degli abitanti della striscia di Gaza mostrano di non appoggiare più l’organizzazione che aveva vinto le ultime elezioni. Dalla tragedia di Gaza esce quindi un leader che può portare la sua patria, finalmente alla costituzione della propria entità statale ed un punto di riferimento per le potenze occidentali.
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